Avvenire, 5 settembre 2018
Nella grande fabbrica di Shenzen. Qui il Dragone costruisce il suo futuro
Vi immaginate ancora i cinesi impegnati a coltivare i campi, al lavoro in malsane fabbriche, vestiti tutti uguali e tutti a pedalare su sgangherate biciclette. Un’immagine stereotipata, legata a cortometraggi di qualche anno fa che, oramai, sono solo un lontano ricordo di un mondo che ha bruciato le tappe e ha raggiunto, forse superato, l’Occidente. Ci sono ancora angoli di lontana campagna dove il tempo, invero, sembra essersi fermato. E ci sono pure industrie, ovviamente, che non hanno livelli europei nella sicurezza.
Non è tutto rose e fiori, ma vi sono, e si sviluppano alla ’velocità della luce’, aziende ad altissima tecnologia. Siamo abituati a dire che siamo invasi da prodotti cinesi. Talvolta lo diciamo con diffidenza rilegandoli ad una categoria di scarsa qualità. Eppure anche questa immagine andrebbe aggiornata. Basti pensare alle tecnologie dell’informatica e della telefonia. La Cina oggi è una macchina industriale e pure un incubatore, cresce e sviluppa ad una velocità impressionante. Shenzhen è un esempio lapalissiano. A due ore e mezza di autostrada da Hong Kong è una città subprovinciale della Repubblica popolare cinese appartenente alla provincia di Guangdong nella Cina continentale meridionale. Posizionata a nord della Regione amministrativa speciale di Hong Kong, gode dello stato amministrativo sub-provinciale che gli attribuisce poteri un po’ diversi rispetto alla Provincia di appartenenza.
Poco più di trentacinque anni fa era un paesone di pescatori di 15mila abitanti. Nel maggio del 1980 Deng Xiaoping fece decollare un esperimento economico senza precedenti abbandonando il modello economico tradizionale per uno aperto ad investimenti esteri permettendo alle multinazionali straniere di insediarsi ed operare in questa ’zona economica speciale’. In poco più di tre decenni si è così sviluppata una megalopoli di grattacieli – media 40 piani per le soluzioni abitative, spesso bilocali abitati da famiglie di 4 persone – che oggi, dicono le nostre guide, tocca i 20 milioni di abitanti. Colline verdi dove la vegetazione solo in parte è stata sacrificata al cemento. E le mangrovie sono tutelate... Una city difficile da descrivere, forse solo vedendola si riesce a farsi un’idea che, sorge il dubbio, è solo approssimativa. Una stazione ferroviaria per l’alta velocità da 20 binari dove arrivano i treni proiettile che corrono nel Paese, autostrade urbane – a pagamento e dove il ’telepass’ cinese ti indica l’importo che poi pagherai – dove viaggi due ore per raggiungere una meta cittadina; ferrovie urbane e metropolitane spesso sopraelevate. Magari impattanti ma certo funzionali. Viali alberati a 4 corsie per direzione di marcia che nelle ore di punta s’intasano di vetture cinesi, dai nomi e marchi a noi sconosciuti, ma pure di vetture premium europee e made in Usa. Vetture locali il cui design spesso strizza l’occhio alle forme create dalle matite dei nostri designer e ormai sempre più attente alla qualità: prendete quelle della BYD, con plastiche splendide, interni in pelle e finiture che dovrebbero far preoccupare i tedeschi. Che non a caso ci sono con Audi, Bmw e Mercedes. Ma quante nostrane Maserati per farti respirare aria dello Stivale.
Città dove tutti i bus sono elettrici così come tutti i taxi. Perché è la città di Huawei, quella della tecnologia che ha scalzato pure Samsung ma, soprattutto, è la città della BYD (Build Your Dream, ’costruisci i tuoi sogni’), fondata daWang Chuan-Fu nel settore auto nel 2003 ma attiva dal 1995 nel campo delle batterie. Qui circolano circa 6mila bus elettrici e oltre 4mila sono della BYD ci spiega il general manager delShenzhen Bus Group, Joe Ma, che ripercorre un cammino avviato nel 2008 con gli ibridi e che oggi conta su 101 stazioni di ricarica con 1.665 ’prese’. E dove ci sono pure i due piani elettrici, in un’azienda dove lavorano 28mila persone. Ma questa è la megalopoli dove vedi scorrazzare biciclettine elettriche che magari sfrecciano contromano sotto la pioggia di queste giornate monsoniche con l’ombrellino da moto (non il nostro parabrezza, notar bene, ma un vero ombrello dalla forma oblunga) a mo’ di cappotta e spesso con un secondo passeggero e un discreto carico visto che sono tutti diabolicamente infaccendati.
Città con al suo interno una miriade di industrie, grandi e piccole. Le più grandi sono città nella città, con estensione impressionante, a tal punto che a fianco della fabbrica e agli uffici sorgono i palazzi, pardon grattacieli, dove vivono i dipendenti. Ma pure con l’hotel interno e spazi per svago. Così non è difficile vedere bambinetti che giocano mentre i genitori lavorano. Certo il concetto di svago è differente rispetto al nostro: i cinesi la domenica spesso si rifugiano nei mega centri commerciali (che pullulano di ristoranti) dove le griffe europee spopolano ed altre subodorano di richiamo accattivante di marchi del Vecchio Continente. Quando non escono spesso si ’buttano’ nei video giochi... Google non funziona, c’é Bing, WhatsApp pure, c’é WeChat. Una sorta di censura o di controllo dall’alto, chiaro, ma i discendenti di Mao armeggiano con lo smartphone ne più ne meno dell’italiano. A Shenzhen, però, i parchi non mancano, anzi: una giornata nel Splendid China è un’occasione per perdersi nella storia ’in miniatura’ del Paese. Senza dimenticare che il teatro (tradizionale o meno) e la musica possono scandire i ritmi morti di una popolazione ordinata e che, davanti alla crescita del benessere, non riduce la produttività. Che poi esporterà. Anche costruendo siti industriali in altri continenti. Alla conquista dell’Africa si dice in questi giorni. Esempio: la BYD di cui abbiamo parlato sta costruendo un grande stabilimento a Tangeri, in Marocco. Un’infrastruttura da 2.500 lavoratori che potrebbe essere il ponte per portare le auto di Shenzen alla conquista della Vecchia Europa.
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