La Stampa, 5 settembre 2018
Scuola, nelle aule uno su dieci è straniero
Sono soprattutto romeni (19 %), albanesi (13 %), marocchini (12 %) ma ci sono anche 50mila cinesi (6 %, raddoppiati in un anno), quattromila russi, 224 nepalesi e persino 105 finlandesi e 25 mongoli. Riapre i battenti la prossima settimana l’enclave interetnica più vasta e complessa d’Italia, la scuola: otto milioni e700mila ragazzi dall’asilo ai licei, un decimo dei quali – 826 mila lo scorso anno – di origine straniera, con concentrazioni nelle aree metropolitane di Milano e Torino fino al 19 per cento e picchi fino al 33 % nelle zone ad alto impiego di immigrati come Alessandria, Cologno, Pioltello, alcune cittadine toscane.
Nell’era della diffidenza razziale e delle tentazioni xenofobe, dopo un’estate costellata da episodi in violenza, sarebbe lecito preoccuparsi per il mondo dei ragazzi, che spesso è stato la prima trincea di stati d’animo intolleranti e ha portato all’estremo i messaggi ideologici degli adulti. Tuttavia, a guardare numeri e rilevazioni, proprio nel segmento degli studenti si è verificato finora una sorta di pacifico miracolo. Pochissimi gli episodi di bullismo a sfondo razzista, diffusa l’amicizia: un recente sondaggio tra 1700 alunni di medie e superiori racconta che la metà fa normalmente i compiti a casa di compagni non italiani e solo il 4 % se ne tiene alla larga per istintivo rifiuto. Insomma, c’è un’Italia che va d’accordo con gli stranieri, li frequenta ogni giorno, li sente uguali o forse un po’ diversi ma in modo marginale, senza grandi incomprensioni.
Chi di scuola si occupa professionalmente è convinto che il modello interclassista dell’istruzione italiana, che vincola le iscrizioni alla residenza mettendo insieme il figlio della professionista dei Parioli e quello della sua colf, costituisca un naturale motore di convivenza tra diversi. «Non è un caso – dice Daniele Grassucci, fondatore di Skuola.net – che da noi siano rimasti quasi sconosciuti fenomeni come la radicalizzazione degli adolescenti o il loro arruolamento nei foreign fighter, che altrove costituiscono un’emergenza». Se ogni tanto emergono messaggi controversi, come quello del grande liceo romano che lo scorso anno ostentava l’assenza di stranieri («Solo due, e nessun diversamente abile») è perché si avverte la pressione degli adulti, spaventati dalle conseguenze del multiculturalismo sul rendimento.Sono paure al momento poco fondate. Le differenze di risultato rilevate dal Miur nell’ultimo rapporto appaiono modeste, e va dato atto agli insegnanti di aver fatto fronte alla radicale trasformazione degli ultimi dieci anni con un silenzioso sforzo di adeguamento fai-da-te, ben prima che le autorità ministeriali percepissero il cambiamento in corso. Oggi solo il 19 %delle nostre scuole è «come una volta», senza stranieri in classe. In tutte le altre la presenza di non italiani è ordinaria amministrazione, per non contare i 691 istituti in cui la percentuale di ragazzi di origine straniera ha superato la metà degli iscritti, quasi tutti nell’area dell’istruzione primaria dove la carica delle seconde generazioni si fa sentire con forza.
La gran parte di questo colorato rassemblement culturale ed etnico, che conta oltre duecento nazionalità, ha pochi problemi di lingua e di inserimento perché è nata in Italia (61%) oppure ci è arrivata da piccolissima. Forse anche per questo è più facile vederli litigare per gli ordinari motivi dei ragazzini – un gol annullato, uno scarabocchio sul diario – che per la provenienza, la religione, il colore della pelle e ogni altra questione che accende i sentimenti dei loro genitori.