la Repubblica, 5 settembre 2018
Il Rinascimento politically correct
La battaglia tra i sessi, finalmente, si conclude con un pareggio. Perlomeno alla Royal Academy of Arts, che sta organizzando una mostra sul nudo nell’arte del Rinascimento in cui ci sarà assoluta parità fra le opere esposte dove il soggetto senza veli è un uomo e dove è una donna. Subito ribattezzata dai media inglesi come “la prima mostra dell’era del #MeToo”, la rassegna includerà 85 quadri, statue e miniature di alcuni dei più grandi artisti del periodo fra il 1400 e il 1530, tra cui maestri come Tiziano, Raffaello, Michelangelo e Leonardo da Vinci. Scopo di The Renaissance Nude, che aprirà nel celebre museo londinese vicino a Piccadilly Circus nel marzo prossimo, è indagare lo sviluppo dell’idea e dell’ideale della nudità in Europa. Ma i curatori ammettono che è stato il movimento femminista nato dallo scandalo degli abusi sessuali a Hollywood, e poi allargatosi al resto dell’Occidente, a ispirare una “eguaglianza di genere” nel numero dei lavori selezionati.«È indubbio che storicamente ci siano più donne che uomini come soggetti di opere d’arte», osserva Tim Marlow, il direttore del museo. «Ma nei tre anni in cui la mostra è stata pensata e preparata, è cambiato il clima culturale. In seguito alle accuse sollevate dal movimento #MeToo, la televisione, il cinema e il teatro hanno dovuto riesaminare la loro relazione con il modo in cui vengono trattate le donne. Era giusto che lo facesse anche l’arte». Il problema era come farlo. Così si è arrivati alla proposta di una mostra in cui i soggetti ritratti in costume adamitico (ma in questo caso bisognerebbe citare anche Eva) fossero divisi esattamente in due fra uomini e donne. «In un evento che esplora il nudo rinascimentale in un determinato periodo storico, ci è sembrato un esercizio molto interessante», conclude il direttore Marlow.
Un esercizio che non era mai stato tentato prima, ma non mira a stabilire una regola: altre esposizioni in programma alla Royal Academy, che celebra nel 2018 il suo duecentocinquantesimo anniversario, non avranno la stessa ratio uomo-donna. «Non vogliamo imporre un sistema di quote per dare più spazio ai nudi maschili», afferma Per Rumberg, un portavoce del museo, «bensì soltanto stimolare un dibattito»: anche per questo ci sarà parità di genere perfino tra i curatori della mostra. E il dibattito è già iniziato.
«La parità fra i sessi sbarca nel Rinascimento», commenta il Times, mentre i tabloid ne approfittano per pubblicare una sfilza di nudi integrali d’ambo i sessi: una volta tanto non sono immagini rubate dai paparazzi su spiagge tropicali o yacht da miliardari.
Musei e gallerie d’arte sono da tempo nel mirino delle organizzazioni femministe: molti critici lamentano una drastica mancanza di artisti di sesso femminile nelle collezioni più importanti e un’alta proporzione di nudi di donna appesi al muro.
La disparità tra i due fenomeni è così lampante che un altro illustre museo della capitale britannica, la Tate Modern (ora diretta da una donna, Frances Morris), ha acquistato per la sua collezione permanente un’installazione del gruppo radicale femminista Guerrilla Girls, in cui si pone il quesito in questi termini: «Le donne devono essere nude per entrare al Metropolitan Museum of Art?». L’opera in questione è del 1989. Ci sono dunque voluti quasi trent’anni perché finisse in un museo di questo livello, nonostante metta il dito su una piaga da allora rimasta praticamente immutata: meno del 5 per cento degli artisti attualmente esposti nella famosa pinacoteca newyorchese sono donne, in confronto all’85 per cento dei suoi nudi che sono femminili.
Quest’anno la National Gallery di Londra ha ammesso che nel suo caso le opere esposte firmate da donne sono addirittura meno dell’1 per cento. E la stessa Royal Academy, sottolinea il sito femminista It’s nice that, ha avuto a lungo soltanto due donne fra gli accademici del proprio staff, sebbene ora cerchi di recuperare.
«L’idea del nudo artistico è spesso derogatoria, una oggettivazione della donna vista attraverso lo sguardo maschile», ammonisce nelle stesse pagine Jini Ong, ricordando che il termine “male gaze” (visione maschile), coniato dalla teorica del femminismo Laura Mulvey, descrive «l’atto di dipingere le donne da un punto di vista maschile ed eterosessuale, per la gratificazione di un pubblico maschile». Alla mostra della parità fra i sessi non sarà così. Ma chi c’è sulla copertina del catalogo? Una donna nuda.