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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Brunello Cucinelli: «Vigneti e opere d’arte, così regalo bellezza alla mia terra»


SOLOMEO ( PERUGIA) «Ho ispirato la mia vita alla bellezza. Perché dove c’è bellezza c’è più umanità». Brunello Cucinelli, 65 anni, traccia un bilancio della sua attività di imprenditore. Lo fa scegliendo attentamente le parole, prendendole in prestito dai grandi del passato che ama leggere (Senofane, Pericle, Adriano, San Benedetto, Voltaire...). E disegnando su una risma di fogli che tiene sempre a portata di mano, come se ogni suo discorso stesse per materializzarsi in un progetto. L’ultimo, appena realizzato, ce lo racconta nel suo ufficio di Solomeo, mentre tutt’intorno centinaia di operai lavorano all’ultima collezione di quello che è stato definito il re del cachemire (503,6 milioni di fatturato nel 2017, +10,4% rispetto al 2016). Il Progetto per la bellezza, annunciato nel 2014, ora è pronto per essere aperto al pubblico: 100 ettari di campagna restituiti al loro splendore rinascimentale, tra vigneti, uliveti e opere d’arte.
Cucinelli, come è nata l’idea?
«Dalla metà degli anni Ottanta abbiamo restaurato Solomeo. E il paese è tornato a essere bello come tanti borghi italiani. Ma poi se mi affacciavo verso la valle vedevo una periferia brutta: tanti capannoni industriali, senza però industrie.
Anche la periferia dovrebbe essere amabile. Noi ci abbiamo provato ridando dignità alla terra e senza togliere manifattura. Abbiamo piantato ulivi, viti, girasoli».
Oltre alle piante, ha voluto tre monumenti.
«Sì. Il monumento alla terra è la cantina, perché come dice Senofane "dalla terra tutto deriva".
Poi abbiamo costruito un tributo alla dignità dell’uomo, progettato e realizzato perché fra 2000 anni sia ancora lì. Infine abbiamo costruito un oratorio laico. Non voglio che si equivochi: nessuno sarà catechizzato. Offriremo a bambini e ragazzi l’opportunità di crescere come siamo cresciuti noi: liberi di giocare. Ma ci sarà anche chi aiuterà a fare i compiti».
L’oratorio sarà pure laico, ma tra i suoi ispiratori c’è San Benedetto.
«È vero, abbiamo seguito i suoi insegnamenti: il paese cura la mente con l’arte e lo studio, la campagna cura l’anima con il lavoro».
Avete unito 51mila metri quadrati da sei proprietà diverse e abbattuto 320mila metri cubi di costruzioni. I costi?
«Non mi va di dire quanto abbiamo speso. Ma quando dovevamo acquistare l’ultimo lotto che mancava il proprietario ci chiese 10 milioni… Comunque non sono soldi dell’azienda. Siamo quotati in Borsa e un investitore di Dallas non capirebbe perché spendiamo il suo denaro per un pezzetto di campagna italiana. Quindi lo facciamo tramite la fondazione e i profitti della famiglia Cucinelli».
E in famiglia come giudicano questa scelta?
«Le mie figlie mi hanno incoraggiato: "Papà fallo, abbelliamo il mondo". Più perplesso mio padre, che oggi ha 97 anni: "Vuoi comprare tutti quei capannoni e poi buttarli giù? Me pari matto"».
Lei dice: rendiamo amabili le periferie. Ma il modello Solomeo è esportabile al resto d’Italia?
«Tempo fa sono venuti a trovarmi due architetti che collaborano con Renzo Piano. Li ho portati alla vetrata del mio ufficio e gli ho mostrato quelle case popolari laggiù, a mezza costa sulla collina.
Ma si può fare una cosa così su una collina umbra? Uno dei due mi ha confessato: "Le ho progettate io, sono proprio un errore". Ecco, si possono ammettere gli sbagli e porre riparo, rendendo un po’ più belle le cose brutte».
Quand’è che il Bel Paese ha perso il senso della bellezza?
«Negli ultimi cinquant’anni. Non do la colpa a nessuno, nemmeno ai geometri, d’altra parte io stesso sono un geometra. Ma i monaci benedettini prima di costruire una chiesa o un monastero si fermavano e studiavano: il vento, il sole, l’acqua. L’architettura si dovrebbe adattare ai luoghi, come prescriveva anche l’imperatore Adriano: "Quando edificherai, rispetta la bellezza della terra". Non come la chiesa di Fuksas a Foligno, un cubo di cemento armato che non c’entra nulla con il paesaggio. Per cinquant’anni è andata così, non lo contesto. Ma oggi ne abbiamo preso coscienza. E allora perché continuiamo a permetterlo? Non dico che tutte le opere moderne siano sbagliate, molte sono bellissime, ma tante altre non rispettano il genius loci. Perché se arrivo a Perugia le torri della città devono essere oscurate dal gigantesco capannone azzurro dell’Ikea? Perché non scegliere tra le terre di Siena i colori della fabbriche?».
Pensa di poter essere un esempio per gli altri imprenditori?
«Credo che molti di loro sentano la necessità di fare qualcosa. Certo, quando poi si tratta di mettere mano al portafogli è diverso».
Niente da dire ai politici?
«Non voglio insegnare niente agli altri, tantomeno alla politica. Voglio solo dire quello che faccio io. Come Pericle nel discorso agli ateniesi.
Non dice alle altre città cosa fare, Dice: "Qui ad Atene facciamo così".
E conclude: "La nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero. Qui ad Atene noi facciamo così"».
E le persone normali, cosa possono fare per la bellezza?
«Qui in zona c’era un innamorato che scriveva sempre su un ponte frasi d’amore a caratteri cubitali.
Ogni volta io mandavo qualcuno a ridipingere. Alla fine ha smesso: o non era più innamorato oppure ha capito che senza le sue scritte il paesaggio è più bello. Ecco, tutti noi dovremmo sentirci responsabili e custodi dei nostri luoghi».