Corriere della Sera, 5 settembre 2018
Escobar jr si confessa a teatro: «Mio padre peggio di Narcos»
Lui solo in scena. Alle spalle, video e foto originali di un passato burrascoso: quello di suo padre, Pablo Escobar. Il barone della droga, il narcotrafficante colombiano freddo e efferato che ha ispirato film e serie tv, dalle prime due stagioni di Narcos su Netflix, all’ultimo adattamento cinematografico,con la coppia Cruz-Bardem.
«Ma finora nessun lavoro ha messo veramente a fuoco né il carattere di mio padre, né la sua vera storia» obietta SebastiánMarroquín, vero nome Juan Pablo Escobar, primogenito del re dei narcos che negli anni 80 gestiva l’80 per cento della cocaina mondiale. Marroquín il 21 settembre terrà al Teatro Brancaccio di Roma, la prima volta in Italia, la conferenza-spettacolo Pablo Escobar. Una storia da non ripetere (ore 21, Ticketone). Spiega: «Mostrerò foto dei primi anni della mia famiglia, e delle case in cui abbiamo abitato. Alcune immagini riguardano la violenza attorno a noi: la distruzione, gli assassinii, la guerra con le autorità colombiane. I flashback faranno comprendere quali efferatezze generino le politiche proibizioniste verso la droga. Mio padre è morto da 25 anni, ma nulla è cambiato. L’orrore non si è fermato».
Lui figlio, e la sua verità. L’unica, sostiene: «Dallo spettacolo emerge un Pablo Escobar diverso dal personaggio descritto da Narcos. In seguito a quella serie tv, ho ricevuto migliaia di messaggi di ammirazione sui social, “vogliamo essere come tuo padre”. È stato descritto come un trafficante eroe, ma è il contrario: l’esempio di una persona di cui non seguire le orme. Ha preso una strada che nessun essere umano dovrebbe percorrere. Avevo offerto la mia collaborazione a Netflix, ma non l’hanno voluta, commettendo molti errori. Ai miei numerosi libri, i lettori reagiscono con una presa di distanza: la storia cambia, se raccontata in maniera responsabile, e non per sorprendere». Anche nell’ultimo film di Fernando León de Aranoa traspare fin dal titolo (Escobar-Il fascino del male) un trasporto: «Non l’ho visto, non mi sento di giudicare. Però è tratto da un libro che non ritengo veritiero. Il nome di Escobar è stato utilizzato finora per fini politici. Vorrei trovare un produttore che metta i soldi, ma soprattutto un team di autori che con me abbia il coraggio di raccontare le cose come sono realmente andate. Ripeto: non esisterebbero altri Pablo Escobar al mondo, se si abolisse il proibizionismo».
Oggi Marroquín è un architetto e designer industriale. Vive e lavora a Buenos Aires. «Con mia madre – ricorda – cambiai nome al momento di partire in esilio dalla Colombia. Non avevamo pendenze, ma mutare identità era necessario per sentirci liberi. Nessuno ci voleva. Neanche il Vaticano. Ed era il solo modo per restare vivi! In troppi volevano vederci morti». Sui due, pende oggi in Argentina un’accusa di riciclaggio: «Ma siamo innocenti. Abbiamo fornito tutte le spiegazioni alle autorità, e come si vede sono libero di viaggiare ovunque. I sospetti cadranno. Con mia madre scontiamo una colpa originaria: essere il figlio e la vedova di Pablo». Trapelerà anche l’affetto, nello spettacolo: «Da piccolo, Escobar mi trattava con amore e rispetto. Raccontava favole. Era tenero e giusto. Mi parlava di sentimenti e di valori. Io stesso mi domando come sia possibile. Mi insegnava come sopravvivere nella giungla, e alla violenza. E come togliermi la vita, se necessario. La sua uccisione? C’è chi ha azzardato addirittura che sia stato io. Rivendicarne la morte rende celebri: tre diversi autori hanno sostenuto di aver partecipato all’esecuzione. Un paramilitare, un criminale e un poliziotto. Ma è stato lui a farsi trovare. Mio padre si è suicidato».