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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Contratto di governo, dove sono le risorse?

Prima che la domanda si ponesse con l’urgenza attuale, la risposta si trovava già nel sito di M5S il 26 gennaio scorso. «Tutti ci chiedono: dove prenderete i soldi? I soldi ci sono, eccome, in un bilancio da 800 miliardi». Naturalmente il «blog delle Stelle» si riferiva alle idee per finanziare il reddito di cittadinanza, più altri «cinquanta miliardi in investimenti pubblici». Si leggeva: «Basta avere lungimiranza e le mani libere da condizionamenti di lobby che finora hanno sempre prosperato in modo parassitario, attaccate alle gonne dello Stato». 
In questo M5S dimostrava di essersi posto il problema più della Lega, la quale aveva escluso qualunque sacrificio. La «flat tax» leghista al 15% promessa a tutti, ispirata al modello di Mosca, avrebbe dovuto finanziarsi da sola con la crescita che doveva generare. Poco importa che la spesa pubblica in Italia sia di quasi il 20% più alta che in Russia, in proporzione alla taglia dell’economia. Quanto alla «pace fiscale», o condono, avrebbe comunque prodotto gettito fiscale per un solo anno mentre i tagli alle tasse promessi sarebbero stati per sempre. 
Con il Movimento 5 Stelle era diverso: indicava gli interventi da fare. In primo luogo «trenta miliardi annui a regime di spending review, compreso un miliardo di tagli ai costi della politica». Da allora M5S ha vinto le elezioni e governato cento giorni eppure oggi per la prima volta da sei anni l’Italia non ha più un commissario per la spending review: nominata da Palazzo Chigi, quella figura è necessaria per il lavoro quotidiano di selezione, controllo e intervento sulle spese, ma appunto il governo ha scelto di fare senza. Difficile così reperire anche solo un miliardo nel 2019 dalle uscite dei ministeri. Quanto all’altro «miliardo» di spese della politica da tagliare, la cancellazione dei cosiddetti «vitalizi» parlamentari (pensioni calcolate con il metodo retributivo) ha dato appena 43 milioni; però poi si sono dovuti bloccare anche quelli in vista di ricorsi delle persone colpite. 
Del resto il piatto forte, per M5S, era altrove. «Quaranta miliardi l’anno di agevolazioni fiscali che si possono spostare da obiettivi dannosi e improduttivi verso finalità ad alto moltiplicatore», si legge nel blog. Sono le spese fiscali, in tutto poco meno di settecento deduzioni o detrazioni diverse. I 5 Stelle in questo avevano contato bene: tolti gli sgravi ininfluenti e quelli indispensabili, in quella lista spiccano quattordici voci che – se nulla cambia con la legge di Stabilità – costeranno 38,1 miliardi allo Stato nel 2019 ma in teoria si potrebbero limare. Resta da capire se nel governo qualcuno oserà farlo.
Come mostra il grafico sopra, oggi gli sgravi sulle accise al gasolio in agricoltura e nell’autotrasporto pesano per esempio sul bilancio per oltre due miliardi. Ma sembra impossibile che il governo li riduca, dopo che Matteo Salvini della Lega aveva promesso in campagna elettorale di «cancellare sette accise sulla benzina subito» (da allora di questo non parla più). Ci sarebbero poi da aggredire le detrazioni ed esenzioni sulla casa, quelle che forse più di tutte le altre favoriscono chi possiede patrimoni più alti e immobili più preziosi a spese di chi li ha più bassi e non possiede affatto immobili. C’è per esempio la detrazione sulla rendita catastale per la prima casa (toglie al gettito 3,6 miliardi), di cui inevitabilmente non gode il 33% delle famiglie italiane senza prima casa di proprietà; lo stesso vale per l’Imu prima casa (costa 3,6 miliardi) e la Tasi sulla prima casa (3,5 miliardi). Ancora più squilibrate a favore di chi ha grandi case e può permettersi grandi migliorie su di esse sono le detrazioni per le ristrutturazioni edilizie (costano 5,8 miliardi) o per gli interventi di riqualificazione energetica (1,6 miliardi). Per non parlare delle detrazioni per spese mediche e sanitarie (3,1 miliardi) riservate anche ai redditi alti e altissimi o del bonus da 80 euro di Matteo Renzi, che costa 8,9 miliardi e spesso favorisce i ceti medi rispetto ai ceti più deboli. E che dire del credito d’imposta da 240 milioni per gli armatori?
La lista è lunga, le possibilità numerose per il governo di rendere il sistema degli sgravi più equo e meno costoso, in modo da reperire risorse e attuare così il suo programma. Ma occorre scegliere e dunque scontentare almeno qualcuno. Occorrono, direbbe il blog di M5S, «lungimiranza e mani libere da lobby». Dopo tante parole su Facebook, la prova con la realtà è adesso.