il Fatto Quotidiano, 27 agosto 2018
Intervista a Bagnai: «Il tetto del deficit al 3% del Pil è senza basi scientifiche»
Alberto Bagnai è stato a lungo un economista, blogger (Goofynomics), editorialista (del Fatto Quotidiano), clavicembalista e capofila di uno schieramento di euro-critici radicali. Ora è senatore della Lega, presidente della commissione Finanze del Senato. Investitori, trader, banchieri: è cominciato il negoziato sulla legge di Bilancio e sui mercati tutti osservano le mosse di Bagnai, e del suo collega Claudio Borghi, per capire quanto il governo Conte sarà influenzato dalle sue idee.
Senatore Alberto Bagnai, come ci si sente a essere il più osservato, insieme a Claudio Borghi, dagli investitori? Ogni vostra parola muove lo spread.
Se fosse vero, dovremmo concludere che la costruzione europea è veramente molto fragile. Aggiungo che se io, o l’onorevole Borghi, fossimo degli squilibrati, avremmo già approfittato dei superpoteri che ci vengono attribuiti per far saltare il banco, così come, d’alta parte, se i mercati fossero onnipotenti e nemici di questo governo, non avrebbero fatto passare agosto senza attaccarci. Forse la realtà è più complessa. Proporrei di abbandonare i cliché semplicistici diffusi da certa stampa per meri fini di polemica politica interna, e di concentrarci sui fatti.
La diffidenza di molti investitori è questa: il governo può rassicurare con Tria, Moavero e Conte, ma poi in Parlamento la legge di Bilancio sarà nelle mani delle commissioni, dove ogni impegno alla cautela può essere spazzato via. Lei presiede quella Finanze del Senato, Borghi quella Bilancio alla Camera. É fondato questo timore?
No, anche se vedo che viene fatto un grande sforzo per diffonderlo. I fatti sono che la Commissione che presiedo viene coinvolta nella legge di bilancio solo in sede consultiva e che comunque un presidente non ha alcun potere di alterare i testi sottoposti all’esame della sua Commissione. Evidentemente c’è molta ignoranza sui meccanismi di una democrazia parlamentare, scusabile all’estero, sospetta in Italia. Per quel che mi riguarda, ho chiarito fin dall’inizio che il mio compito in Commissione sarebbe stato garantire che l’opposizione potesse parlare, visto che ora può fare soltanto quello. Se poi qualcuno è contrario al principio che in democrazia si decide a maggioranza, può dirlo: in democrazia tutte le opinioni sono lecite. Ma Bagnai o Borghi con queste latenti nostalgie di fascismo non c’entrano.
C’è una fuga di capitali in corso dall’Italia? La considera un voto negativo sul governo e un problema da affrontare?
Da testimonianze raccolte ho concluso che i flussi netti in uscita a maggio e giugno siano stati un voto negativo non sul governo, ma sul modo confuso col quale si è giunti ad esso, rasentando una crisi istituzionale. I dati sui saldi Target2 (il sistema dei pagamenti interbancario nell’eurozona, ndr) di luglio però indicano che la direzione sta cambiando.
Le ultime dichiarazioni del sottosegretario Giorgetti, considerato il lato moderato della Lega, hanno turbato molti: dice che si aspetta un attacco speculativo all’Italia a breve e che non esclude che il deficit possa superare il 3 per cento del Pil. Lei è d’accordo con questi due punti? E Giorgetti si è allineato con le posizioni sua e di Borghi?
Sarei onorato di scoprire che io, schieratomi con la Lega il 23 gennaio scorso, detto la linea a un parlamentare di grande esperienza e peso politico come Giorgetti! Non è educato rispondere a una domanda con un’altra domanda, ma a lei sembra plausibile? Le osservazioni di Giorgetti sono di puro buon senso. Vorrei ricordare che il disastro di Genova, sul quale mi sembra che le indagini stentino a decollare, ha evidenziato le gravissime carenze infrastrutturali del Paese. Il limite del 3 per cento, peraltro, non ha alcun fondamento scientifico, com’è ampiamente noto. Sta al governo, nella sua collegialità, decidere in che conto tenerlo.
Sui migranti l’Italia è sempre più isolata. Che ripercussioni può avere questo sul negoziato per la legge di stabilità? Lei è d’accordo con la proposta di Luigi Di Maio di rimettere in discussione perfino i contributi italiani al bilancio comunitario?
A me sembra invece che l’Italia abbia isolato l’Unione europea, mettendone in luce l’ipocrisia. Ma quello che penso io conta il giusto: vedremo presto, alle prossime elezioni europee, cosa ne pensano gli italiani. Il budget comunitario, gestito da una catena di comando interamente tedesca dopo il siluramento mascherato della commissaria Kristalina Georgieva, risente ancora della precedente impostazione tedesca in tema migratorio: sostanzialmente, quella di gestire i flussi in base ai problemi demografici tedeschi, ignorando i problemi creati agli altri partner europei. Nel frattempo, la cancelliera tedesca Angela Merkel su questa gestione scellerata si avvia a perdere in Baviera, e poi nell’intero Paese. Paradossalmente, mettendo il veto a un budget simile, il nostro governo risolverebbe ai tedeschi un grosso problema.
Il piano del ministro degli Affari europei Paolo Savona sembra già molto ridimensionato: i 50 miliardi di investimenti annunciati ora contemplano anche quelli privati di società come Eni, Leonardo ed Enel cui viene richiesto di anticipare al 2019 investimenti già previsti. La convince questo approccio?
Trovo positivo che al governo ci siano economisti in grado di ragionare in termini di fondamentali macroeconomici, e in particolare di capire che un Paese con un surplus estero ha uno spazio fiscale che non si esaurisce nelle regolette imposte da Berlino senza rispettarle. Per il resto, ribadisco l’ovvio: il governo è un organo collegiale. Vedremo quale sarà la sintesi.
Ormai è dentro le istituzioni da qualche mese: in cosa è cambiato il suo modo di vedere la politica economica ora che è parte del processo decisionale?
L’esperienza parlamentare mi ha ulteriormente convinto dell’irrazionalità del processo di integrazione europea. Faccio solo un esempio concreto. Se il processo di elaborazione della legge di bilancio non fosse rigidamente calendarizzato dall’Unione, col cosiddetto “semestre europeo”, ci saremmo risparmiati pantomime inutili come la discussione in aula di un Documento di economia e finanza sostanzialmente vuoto, e ora, magari, staremmo già parlando di concrete misure di intervento. La pervasività delle regolette europee nel processo normativo ed esecutivo è deleteria per la dialettica democratica, e a valle per l’economia. L’economista Daron Acemoglu e i suoi coautori insistono da anni sulla relazione positiva fra democrazia e crescita. Partecipando al processo decisionale si percepisce come il deficit di crescita dell’Eurozona sia strettamente correlato al suo deficit di democrazia.