il Giornale, 27 agosto 2018
Imam ti scrivo. Dal sesso ai debiti, cosa vogliono sapere i musulmani per vivere seguendo i precetti del Corano
Chi l’avrebbe mai detto tra noi occidentali laici, disincantati e armati contro i nuovi invasori: i musulmani che vivono in Europa sono spaesati, pieni di interrogativi, sprovveduti in un mondo che non appartiene loro, e tra di essi spopolano gli imam online, i siti internet che rispondono alle domande di quanti non vogliono rinunciare a praticare alla lettera la religione islamica. Domande dei fedeli e risposte dei sapienti: non è una dinamica nuova, è presente anche nel Corano. La legge islamica, la sharia, è data per tutti i musulmani, di qualsiasi tempo e luogo, ma non è in grado di disciplinare ogni singola situazione. Così, per sapere come comportarsi, ci si rivolge all’autorità religiosa, la quale emette un parere, la fatwa appunto, che attualizza la legge. E oggi la moschea alla quale bussa un musulmano europeo è virtuale.
L’Occidente di solito è meno attento alle domande e si concentra sulle risposte, cioè sulle fatwe dei mufti che possono assumere la connotazione sinistra di un pronunciamento contro qualcuno. Invece se si vuole capire chi siano davvero i musulmani trapiantati in Europa, in quale condizione vivono e come vogliono affrontare la realtà nella quale sono immersi spesso loro malgrado, bisogna guardare agli interrogativi, alle istanze suscitate da una situazione sociale che non è quella per cui sono stati educati. A un censimento delle domande si è dedicato uno studioso egiziano, musulmano, che da qualche anno vive a Milano, il professor Wael Farouq, docente di lingua araba all’Università Cattolica. La sua analisi, svolta in collaborazione con le fondazioni Oasis e Cariplo (...)
(...) e il dipartimento di statistica della Bicocca, è condensata in un volume uscito da poco, Conflicting arab identities (Almutawassit Books editore).
Farouq, che ha insegnato anche al Cairo e New York ed è molto impegnato nel dialogo tra religioni, affronta temi come la cultura tribale nell’identità araba, la nascita del califfato, la storia e il ruolo della fatwa. In questo contesto, egli ha analizzato ciò che i musulmani europei cercano attraverso le loro richieste di fatwe. E dunque scandaglia i siti che ne sfornano a raffica. «Milioni ogni anno», garantisce. Sono centinaia i portali che emettono fatwe online, un elemento che influisce in modo importante sulla stessa giurisprudenza islamica. I numeri di questo fenomeno sono la prima grande sorpresa perché danno la misura della quantità di problemi che si pongono le schiere di musulmani che, per la prima volta nella storia, vivono stabilmente nella società e nella cultura occidentale. Allo stesso tempo indicano che il «musulmano ordinario» non vive in perenne contrasto con il Paese che lo ospita, ma cerca di conciliare islam e modernità.
Questa tuttavia è anche la spia di un altro malessere interno ai seguaci di Allah: «I moderni mezzi di comunicazione dice Farouq hanno reso facile, per la gente, ottenere una fatwa in ogni momento, in ogni luogo e su qualsiasi argomento». Una comodità che in realtà è controproducente perché favorisce lo scarico della responsabilità personale: «Sembra che i musulmani abbiano completamente rinunciato a riflettere personalmente su come coniugare la vita quotidiana e il credo religioso, a tutto vantaggio degli uomini di religione che si sono fatti carico di pensare per la società intera. La giurisprudenza islamica è dominata dalla paura. La gente teme di sbagliare, ha il terrore di infrangere il Corano».
DUBBI ESISTENZIALI
È uno stereotipo che cade. A parte gli estremisti minoritari, i musulmani occidentali non sono una falange in perenne conflitto con gli ospitanti: «Cercano di vivere in armonia nello spazio pubblico però temono il mondo occidentale». Così come gli europei stanno in guardia contro di loro. Ma qualche luogo comune viene meno anche nell’analisi delle domande fatte ai mufti nascosti dietro i portali web: «Gli interrogativi posti da una persona sono importanti perché dicono molto di chi essa sia», osserva Farouq.
La sua attenzione si è concentrata sui tre siti che ricevono il maggior numero di questioni da Paesi europei, cioè Islam Qa, Islamweb ed E-cfr (European council for fatwa and research). Le domande che le minoranze islamiche d’Occidente rivolgono online ai loro giuristi sono lontane dai temi mediatici e ideologici; pochi dibattiti di teologia, scarse preoccupazioni sulla mancanza di moschee, minareti e muezzin: gli interrogativi ruotano in larga parte su come affrontare la vita quotidiana. «Il problema principale sono le relazioni con gli altri: rappresentano il 45 per cento delle domande che abbiamo studiato, le quali poi arrivano al 63 per cento se aggiungiamo quelle sulla relazione personale con Dio», spiega Farouq. Ovvero come si fa a vivere in un mondo che moltissimi musulmani considerano «una necessità o un male inevitabile».
QUESTIONI FAMILIARI
Come pregare il venerdì se il luogo di lavoro non lo consente? Come rispettare il dettato coranico di evitare interessi e usura in un mondo fondato sugli scambi finanziari? È lecito simulare un divorzio per ragioni fiscali? È consentito spogliarsi nei negozi di abbigliamento per provarsi un vestito? Devo obbedire ai miei genitori anche se non sono convertiti all’islam? Si può abortire un feto concepito con uno stupro? Le questioni coniugali e familiari sono tra le più scottanti. C’è la moglie che chiede se amare troppo il marito non possa sconfinare in una forma di idolatria e il marito che vuole delucidazioni precise sui divorzi: come pronunciare il ripudio, come calcolare il tempo rituale per un eventuale ripensamento, quali sono le circostanze ammesse per potere disfarsi della consorte.
La casistica è sconfinata e arriva fino a questioni intime, come la liceità di leggere testi erotici assieme, simulare un orgasmo per accontentare il coniuge o prendere qualche farmaco per ritardare il ciclo mestruale in modo che il marito abbia più tempo per convincersi che il matrimonio non va rotto. Non mancano gli intrecci tra il talamo e la fede soprattutto nelle unioni miste: qualcuno si domanda se è opportuno ripudiare la legittima moglie non musulmana per sostituirla con una con cui condividere ideali e pratiche religiose; qualcun altro vuol sapere se deve proprio tenersi una donna che l’ha tradito ma che, se lasciata libera, tornerebbe al cristianesimo.
Nessun ambito della vita quotidiana è trascurato. Il cibo, l’abbigliamento, la cosmesi, il rapporto con le leggi, il rispetto dello Stato, le professioni ammesse e quelle vietate, l’osservanza dei precetti islamici, la gestione delle moschee e delle offerte rituali, fino a questioni più banali come se sia lecito usare i buoni benzina, andare da uno psicologo, duplicare un cd o un dvd e perfino spacciare marijuana. «Mi colpisce osserva Farouq che a preoccupare i musulmani in Europa e attirare la loro attenzione siano cose totalmente lontane dal cerchio di luce creato dai riflettori delle ricerche accademiche o dell’informazione. Questioni che, in realtà, non interessano affatto la stragrande maggioranza dei musulmani».
PAURA DELL’INFERNO
Conta invece la difficoltà di stabilire relazioni e come applicare il Corano ai casi personali. «Trapela soprattutto la preoccupazione di come vivere in armonia in questa società come individui e persone, non come comunità o minoranza religiosa – è il giudizio di Farouq -. Il segmento più devoto e religioso dei musulmani in Europa aspira a fondersi nella società, non a contrapporsi. L’interesse per le questioni pubbliche è insignificante. Ma non dimentichiamo che ciò che spinge a chiedere è principalmente la paura di contravvenire alle regole. E la paura di peccare è diventata paura della vita stessa. Ogni cosa nuova è diventata eterodossia e perdizione, e ogni perdizione conduce all’inferno».