Il Messaggero, 27 agosto 2018
Nella scuola del futuro il robot sale in cattedra
A partire dall’11 settembre i giovani italiani torneranno a scuola. Ad attenderli in classe, come sempre, ci saranno i compagni a cui raccontare le avventure estive e gli insegnanti pronti a riprendere il loro lavoro da dove lo avevano lasciato a giugno. Tra qualche anno però, potrebbe non essere più così. L’intelligenza artificiale (AI), dopo aver rivoluzionato su larga scala sanità, finanza, automotive ed e-commerce, ora è pronta a sbarcare anche nel settore dell’educazione. Così al prossimo squillo della campanella che annuncia l’inizio di un nuovo anno, alla cattedra potrebbe esserci un robot. Negli Stati Uniti infatti, si prevede che l’AI applicata all’educazione crescerà del 47,5% tra il 2017 e il 2021; ovviamente perché le aule italiane siano raggiunte dalla maggioranza delle innovazioni si impiegherà qualche anno in più, però ormai la strada sembra tracciata.
Da sempre gli educatori hanno come priorità quella di adattare le lezioni alle esigenze specifiche di ogni ragazzo, tuttavia farlo in classi da 30 alunni può essere problematico. Per questo diverse società come Content Technologies e Carnegie Learning stanno sviluppando delle piattaforme digitali che utilizzano l’AI per fornire agli studenti – dalle elementari fino all’università – un quadro analitico preciso delle sfide per cui sono pronti: identificando le lacune nelle conoscenze e introducendo nuovi argomenti solo quando appropriato.
LE MODALITÀ
In pratica si sta cercando di rendere le macchine capaci di capire se un ragazzo abbia davvero compreso un argomento in modo da modificare la lezione in caso di necessità. Una carriera scolastica personalizzata che oggi non si riesce a garantire. Ma a guidare l’ingresso delle AI a scuola è anche la convinzione, finalmente più diffusa, che l’intelligenza dei bambini non possa essere definita solo attraverso la capacità di risolvere problemi matematici o conoscere i motivi che hanno portato a una guerra.
Le modalità con cui l’uomo è capace di acquisire conoscenze infatti, sono molto più complesse di quanto si è creduto fino ad ora e «l’intelligenza artificiale è un strumento potente che permette di aprire la scatola nera dell’apprendimento – ha spiegato in un recente saggio Rose Luckin, professoressa di Scienze dell’apprendimento presso l’University College di Londra – fornendo una comprensione profonda e dettagliata di come e quando questo avvenga davvero». Secondo Luckin l’AI non solo permette di misurare le conoscenze acquisite ma anche altre qualità: la capacità di collaborare ad esempio o la tenacia, la fiducia e la motivazione. In questo modo gli insegnanti avrebbero un quadro più accurato della situazione e gli studenti invece, strumenti più efficienti per migliorare. Inoltre l’applicazione dell’AI su larga scala all’interno delle scuole sarebbe in grado di risolvere il ritardo nella diagnosi di disturbi e disabilità, sia nell’apprendimento sia nell’ambito relazionale.
Questo tipo di soluzione arriva dall’Italia: Lifem è un’app ideata dal genovese Riccardo Arduino che attraverso l’intelligenza artificiale fa da supporto alle diagnosi. L’app, ancora in fase di sviluppo, si basa su un modello di rete neurale artificiale che rileva in maniera univoca la dislessia, la discalculia e la disgrafia. Non solo, gli strumenti di intelligenza artificiale potrebbero anche aiutare gli studenti con problemi alla vista o all’udito. Microsoft ad esempio ha creato un software capace di redigere sottotitoli in tempo reale per ciò che l’insegnante dice in classe. Si tratta di un plug-in gratuito per PowerPoint sviluppato dall’azienda di Bill Gates, da sempre attento investitore in progetti di supporto all’apprendimento.
I RISCHI
Tuttavia, più che in ogni altro settore, l’applicazione dell’AI al sistema scolastico ci espone a dei rischi, soprattutto per quanto riguarda privacy e utilizzo dei dati raccolti. Se una macchina è in grado di valutare il processo di apprendimento di uno studente fin da bambino, ovviamente raccoglie anche informazioni sui suoi punti di forza e di debolezza.
In pratica sarebbe davvero facile costringere gli studenti a seguire questa o quella carriera, decisa da un computer – o dallo Stato che lo controlla – più che dalle ambizioni o dalle inclinazioni personali. Non tutte le società infatti sono in grado di gestire in maniera sana l’applicazione dell’AI. In una scuola superiore della Cina orientale ad esempio, si sta testando un nuovo sistema di riconoscimento facciale progettato per analizzare il coinvolgimento degli studenti in classe in tempo reale. Il sistema scansiona l’aula ogni 30 secondi registrando sia il comportamento degli studenti che le loro espressioni facciali in modo da valutarne il livello di attenzione e di impegno. Non solo, controlla anche che gli alunni non arrivino in ritardo alle lezioni e tiene traccia delle scelte fatte in mensa. Un controllo su larga scala che distorce le potenzialità dell’applicazione dell’AI alla scuola. La Cina infatti, vorrebbe sincronizzarlo con il sistema di credito sociale in arrivo entro il 2020, cioè con l’iniziativa del governo che mira a sviluppare un sistema nazionale che classifica la reputazione dei propri cittadini per valutare a chi concedere o meno di viaggiare verso l’estero, ottenere un mutuo o anche accedere a internet.