la Repubblica, 27 agosto 2018
Tilden oltre i tabù, quei gesti bianchi degni dello Slam
Iniziano gli US Open, e mentre quasi tutti i colleghi si accaniscono a ripetere che Roger Federer è il più grande di tutti i tempi, da quando nel 1874 fu reinventato il lawn tennis, io mi permetto di dir di no.
Il più grande non è Federer, e credo di dimostrarlo, avendo riletto 15 libri su di lui – l’ultimo è di Luca Bottazzi – e al contempo sottolineato American Colossus, di Allen Hornblum, 465 pagine, testo sin qui imbattibile per i riferimenti storici relativi ai 15 libri su Big Bill, tutti ospitati dalla mia libreria.
Per iniziare la mia dimostrazione rileggo la date anagrafiche di Tilden, 1893 – 1953, dichiaro che non l’ho mai visto giocare in gara, ma soltanto dare una lezione a Hollywood nel 1951 a un ragazzo, dopo aver terminato quella con Ginger Rogers, famosa attrice e ballerina, alla quale non avevo osato chiedere un autografo, così come a Bill. Ma devo riferirmi per prima cosa alla superiorità,che sta nel confronto dei risultati, non certo nel modo di giocare, che è cambiato, così come le racchette e le palle e i campi.
Tilden ha infatti vinto i campionati americani negli anni dal 1920 al 1929 incluso (sette volte) più tre Wimbledon.
Federer ha vinto cinque US Open e otto Wimbledon, un Campionato di Francia e sei Australian Open, nei quali Tilden non ha mai giocato perché era troppo lontana l’Australia, e i quattro Slam non erano ancora tali, perché così nominati nel 1933. I due Wimbledon di Tilden sono stati vinti su tre giocati, quelli di Federer otto su diciannove giocati. I Roland Garros vinti da Federer uno su diciassette, zero da Tilden su tre.
Se si accettano simili statistiche, a cura di Luca Marianantoni, l’erede di Rino Tommasi, vediamo che – sottratti a Federer i sei Australian – gli rimangono nove vittorie su quattordici, il che fa una media di 1,55, mentre Tilden, grazie alle sue dieci vittorie diviso cinque sconfitte ha una miglior percentuale, 2.
Particolari su Tilden. Nasce da una famiglia che in Gran Bretagna faceva parte della Upper Class, che chiamerei Nobili Borghesi, nel 1893. La famiglia si stanzia in un sobborgo chic, a sei miglia da Filadelfia, Germantown, dove ha sede un club che ospiterà i Campionati Usa, e dove lo affligeranno la morte dei fratelli Willamina, Elisabeth e Harry, seguita da quella della mamma Selina e, quando Bill sarà ventenne, dal padre William. Si può capire l’inizio di una passione per il gioco, sostituto della famiglia, e la successiva ricerca di affetto e desiderio di spiegare il gioco a bambini, poi ragazzi, poi giovanetti, in modo assoluto, che porterà Bill ad una sorta di gratuito professionismo, e susciterà l’opposizione di una federazione di borghesi moralisti che sempre faticheranno a crederci. Bill inizia la sua carriera distruggendo dapprima la vetrata oltre la quale dorme suo padre, e rimontando la finale del singolo jr del suo club da 1-6, 0 -5.Dopo la morte del padre Bill resterà in pratica solo, perché il fratello rimastogli, Herbert, ha creato una sua famiglia, con due figli. Risultato, come egli scrive, «una buona performance era seguita da una tanto negativa da mettere in dubbio la prima».
Nel 1915, questo più che sfortunato giovane viene sommerso dalla morte del fratello rimastogli Herbert, e sarà costretto a scrivere, in una delle sue tre bio, di dovere, alfine, occuparsi di sé stesso. Questo lo porta a divenire aiuto del critico drammatico del giornale di Filadelfia, e avrà per tutta la vita la conseguenza di un uomo che, insieme al tennis, tenterà la vita del palcoscenico senza eguale successo. Tilden, insieme a ciò, inizia a studiare quello che chiamerà «la Scienza del Tennis» e lo farà insieme al suo primo pupillo di un certo nome, Carl Fisher, insieme a una affermazione divenuta un proverbio del gioco «Non cambiare mai una tattica vincente, cambiane sempre una perdente». Scartato per i piedi piatti nella sua visita militare, nei campionati d’America a Forest Hill perde in finale da un avversario precedentemente battuto due volte. Eccolo, alla fine della Guerra, n. 2 americano, ed eccolo accusato una prima volta di professionismo causa una vendita di racchette. E, insieme, eccolo battuto da Little Johnston nella finale dei Campionati d’America, la seconda volta, e classificato di nuovo n. 2. Si trasferisce nel New England al solo scopo di passare l’inverno a «ricostruirsi il rovescio» e passa cinque o sei ore giornaliere con questo intento.
Il 1920 è l’anno in cui gli Usa si spingeranno sino ad Auckland, in Nuova Zelanda, per un omaggio al grande Wilding morto in guerra, e per battere la cosiddetta Australasia (Australia più New Zealand) 5-0.
Lo stesso anno, ecco il duplice successo di Bill a Wimbledon e ai Campionati d’America, quest’ultimo più difficile contro Little Bill Johnston, che impersonava il tennis californiano con il suo diritto liftato. Fu, questa finale, resa luttuosa dalla caduta di un aereo che doveva fotografare i giocatori, sul 3-1 per Bill nel terzo set. Partita drammatica, che i due tennisti trovarono il coraggio di continuare e terminare.
Dal 1922 al 1925 incluso, il nome di Tilden scompare tra i vincitori di Wimbledon, mentre rimane tra quelli degli American Championship. Quel che era accaduto lo racconta lui stesso, nella sua biografia My Story.
«Fingendo di immaginare che avessi una rendita privata, la Federazione decise di non tener conto delle mie spese oltre mille dollari, e io non potei affrontare la trasferta europea». Sono cinque anni di vittorie americane, tutte fuorché una contro Little Bill Johnston, e altrettanti anni di Wimbledon mancati. Figurarsi se alle statistiche non si sarebbero aggiunti altri cinque Wimbledon. Intanto accade, nel 1926, il clamoroso primo passaggio al professionismo, ma di una donna, Suzanne Lenglen.
Suzanne ha perso una sola partita nella sua vita, per un attacco di tosse canina, nell’unica sua trasferta americana, ma non sa resistere all’offerta dell’organizzatore Pyle, detto Cash and Carry Pyle, e inizia un tour di trenta città americane. Big Bill, richiesto a sua volta, rifiuta.
Nemmeno la perdita del dito indice, seguente a uno scontro con un filo spinato di recinzione, ha nel contempo impedito a Tilden, dopo tre mesi di ospedale, di perdere la forma, mutando la presa di racchetta. Nel contempo, il tentativo da parte della Federazione di impedirgli esibizioni benefiche in favore dei terremotati giapponesi naufraga, ma non gli evita la continuazione di un conflitto che porterà alla sua tentata esclusione dal team di Coppa Davis contro la Francia dei due vincitori di Wimbledon, in sua assenza, Borotra e Lacoste.Bisognerà attendere la conferma francese del 1927, e l’operazione a un tendine della gamba di Tilden, per vederlo classificato dal giornalista Wallys Myers al numero 5 e in conflitto con i moralisti della Federazione, per un nuovo viaggio in Europa.
Qui Big Bill troverà i quattro Moschettieri francesi che già l’avevano ferito a New York, e che tennero la Coppa dal 1927 al 1932.
La prima volta che qualcuno è riuscito a spossessare gli Usa sul suolo americano sarà dopo due tentativi infruttuosi, ma incredibilmente promettenti. Nel 1926 Big Bill era stato sconfitto da René Lacoste dopo sei anni di imbattibilità, e proprio in Davis, sebbene sul 4 a 0.
Tilden sarebbe poi caduto nei quarti, a Forest Hill, contro Cochet, e questo torneo, dal 1903 di proprietà americana, avrebbe visto ben tre francesi in semifinale.
Con l’arrivo dei Moschettieri francesi, Bill tornerà in Europa, tenterà tre volte senza successo i Campionati di Francia, verrà addirittura cacciato dalla squadra prima della Finale Interzone con l’Italia e riammesso dal Dipartimento di Stato americano. Tutto ciò non gli consentirà la vittoria in Davis, ma un ritorno a Wimbledon nel 1930, vittorioso contro l’americano Wilmer Allison, in tre soli set. È questo l’ultimo successo tra i dilettanti di un vero dilettante, di un uomo perseguitato da dirigenti che lo odiavano, e più tardi da giudici che avrebbero dovuto ricorrere a un giudizio psichiatrico per meglio intendere il suo amore per i giovani allievi, scambiato infine per omosessualità. Il risultato sono due condanne e otto mesi di lavori forzati, quasi si trattasse di Oscar Wilde.
Continuerà sino al 1953, la data della morte, il suo tennis, in una troupe con Don Budge, il primo a raggiungere un Grande Slam che, ai suoi tempi, non c’era.