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 2018  agosto 27 Lunedì calendario

«La lotteria dei voti salva la democrazia»

Cita Il Gattopardo — «se vogliamo che tutto rimanga com’è...» — ma in chiave positiva. Tradotto: «Bisogna cambiare tutto, se vogliamo che la democrazia sopravviva». Tutto, per David Van Reybrouck, significa una cosa, semplice ma rivoluzionaria: «Le nostre istituzioni liberali si possono salvare solo col sorteggio dei nostri rappresentanti. La democrazia elettiva non basta più».
Tenetevi forte. Questo intellettuale belga, fiammingo e inafferrabile, autore del possente bestseller Congo (Feltrinelli) e nato l’11 settembre di 47 anni fa, per qualcuno è un genio, per altri un folle, per altri ancora è un matto shakesperiano che declama frasi in apparenza illogiche con un fondo di verità, un’illuminazione.
Oltre all’opera che lo ha reso famoso in tutto il mondo, Van Reybrouck ha pubblicato poesie, reportage, un paio di romanzi. Nel 2013, poi, Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico (sempre Feltrinelli). Un saggio provocatorio, indisciplinato, surreale per i suoi critici, ora però tornato di moda dopo alcune dichiarazioni di Beppe Grillo a favore del sorteggio dei parlamentari — ma in passato ne avevano già discusso ampiamente politologi come Buchstein e Dowlen. Per Van Reybrouck, le democrazie occidentali sono morenti. E l’unica cosa che può salvarle — e oggi ne è ancora più convinto — è proprio il sorteggio dei nostri rappresentanti, da installare al più presto nei nostri meccanismi democratici.
Cioè il caso, il caos, l’irrazionalità invece della razionalità? Ma che idea è?
«Non è affatto folle come sembra».
Perché?
«Di recente la discussione si è accesa anche da voi, ma in vari Paesi occidentali questo metodo già si applica da tempo. Credo che possa funzionare anche su larga scala. Prenda l’Irlanda. Ha seguito l’ultimo referendum sull’aborto?».
Sì, un risultato storico, ma ottenuto con un mezzo piuttosto tradizionale, un referendum...
«Già. Ma quel referendum, la dicitura sulla scheda e il suo stesso spirito sono nati da 99 cittadini irlandesi scelti da una lotteria vari mesi prima della consultazione, che hanno discusso con le autorità e i rappresentanti della Chiesa su come cambiare la Costituzione.
Novantanove persone prese a caso che sono riuscite a interagire liberamente e a favorire dunque il miglior risultato o compromesso possibile, in maniera rapida e razionale. Questo perché non avevano pressioni di tipo politico o lobbistico, soprattutto su temi spinosi e politicamente "tossici" come l’aborto che molti partiti spesso preferiscono non affrontare perché temono lo scotto alle elezioni successive».
Spieghiamo: nel suo saggio lei sostiene che l’essenza della democrazia sia il sorteggio dei suoi rappresentanti, non la loro elettività come difatti non avveniva nelle prime "democrazie", come in Grecia o anche in quelle delle repubbliche marinare. Proprio queste caratteristiche le avrebbero tenute vive per molto tempo. Al contrario, scrive sempre lei, le democrazie odierne, come quella francese o americana, nascono su presupposti elitari, proprio perché si basano sulle "elezioni", cioè su "eletti", che sono le fondamenta della democrazia rappresentativa.
«Esatto. Per questo, assemblee e commissioni di cittadini sorteggiati devono diventare sempre più un organismo permanente nelle nostre società, come faranno presto a Madrid. A Danzica, in Polonia, hanno ideato un’assemblea di cittadini parallela agli "eletti" del consiglio comunale. Persino la rigida Germania si sta muovendo in tal senso, come messo nero su bianco dall’ultima Grosse Koalition».
Fino a quando la lotteria politica soppianterà la democrazia elettiva?
«Non dico questo. Queste assemblee di cittadini dovrebbero sostenere il lavoro dei rappresentanti eletti, non sostituirlo, come abbiamo visto per l’aborto in Irlanda. Il nuovo modello che immagino è una democrazia bidirezionale, come una macchina ibrida. È l’unico modo affinché la democrazia torni al suo stadio puro e iniziale, e cioè una democrazia per il popolo e realizzata dal popolo».
Non le pare un discorso "populista"?
«Al contrario, è proprio il modo per disinnescare i populismi.
Demonizzare e/o stigmatizzare queste spinte sovraniste e nazionaliste è la cosa peggiore che si possa fare. Perché oggi, soprattutto nelle spirali dei social network, possono evolversi e guadagnare sempre più terreno. I populisti sono fini imprenditori politici, giocano sull’indignazione, la manipolano. Invece, un dialogo istituzionale tra "vecchia politica" e cittadini non può che avere effetti positivi e canalizzare la rabbia e la protesta in una discussione costruttiva».
Ma online spesso accade proprio il contrario: l’insulto e
l’umiliazione trionfano.
«Questo è il guaio della nostra "democrazia silenziosa": da un lato ci chiede soltanto di indicare un voto sulla scheda e di star poi zitti, senza coinvolgere i cittadini.
Dall’altro crescono urla e ferocia sui social network. Le assemblee di cittadini sorteggiati sarebbero invece una moderata terza via che aiuterebbe a disinnescare i due estremismi e a costruire un dialogo vero con i cittadini. E le decisioni finali, con queste nuove sinergie democratiche libere da pressioni di partito o di consenso, sarebbero molto più razionali».
Ne è sicuro? E se un tema delicato, come quello dei vaccini, finisce nelle mani di cittadini sì sorteggiati ma non qualificati, incompetenti, complottisti? Non è pericoloso e irresponsabile?
«Invece sarebbe anche il modo per disinnescare, almeno parzialmente, questi movimenti spesso insensati e scardinare la loro chiusura mentale causata anche dagli algoritmi di Internet e dalle fake news che stanno uccidendo la democrazia. I giganti informatici come Google e Facebook devono scegliere: sostenere la democrazia o rovinarla? Detto ciò, se non si aggiornano le istituzioni democratiche, se non si comprende che il sistema elettivo da solo non ce la può fare, questa può essere la fine della democrazia. Perché il distacco tra politica e cittadini è profondo.
Non solo in Italia, ma in tutta Europa, persino in Norvegia».
E questa inquietante corsa può essere fermata?
«La nostra democrazia in questo momento è fanatica. E così facendo spalanca le porte ai suoi nemici e ad alternative molto meno democratiche, come vediamo in Ungheria, Polonia o con lo stesso Trump. Essere ciechi da questo punto di vista è un errore fatale. Trump non è un caso isolato: anche se cadesse, c’è un’ampia onda politica, molto aggressiva, che lo trasporta e che non svanirà di certo senza di lui.
Se non c’è più fiducia nei partiti, questi vengono giù. Così, nascono gli autoritarismi, altre forze illiberali e sarà sempre peggio: queste persone vengono elette democraticamente ma i valori che propongono sono sempre meno democratici. La democrazia oggi si sta uccidendo da sola».
E il sorteggio dei cittadini secondo lei sarebbe la soluzione di tutti i mali?
«Certo che no: ci sono problemi enormi come le disuguaglianze, la crisi della globalizzazione, le nuove ondate migratorie che il sorteggio non può risolvere e tantomeno i populismi sovranisti.
Ma sarebbe il primo importante passo almeno per salvare le nostre agonizzanti democrazie occidentali. Oggi molte persone odiano i partiti e la politica perché credono che il nostro voto non cambi quasi mai lo status quo.
Anche l’affluenza sta crollando. Lo capisco: stiamo utilizzando metodi oramai vetusti per le nostre società. Eppure abbiamo democratizzato tutto: l’istruzione, l’informazione (i social media), la comunicazione. Ma non siamo riusciti ancora a democratizzare la democrazia. È scandaloso.
Ignorare i sintomi di questa malattia porterà alla catastrofe».