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 2018  agosto 27 Lunedì calendario

E dio creò Rosalia, la santa più femmina

A Palermo non abbiamo nessun bisogno di andare da Padre Pio. A noi ci basta Santa Rosalia. Quando le chiediamo un miracolo non si fa mai pregare!». È la professione di fede autarchica del palermitano doc. Che, al di là del dogma e spesso al di là della religione, fa della Santuzza un simbolo identitario e un totem civico, per dirla con l’antropologo Ignazio Buttitta.
D’altronde il fatto stesso di chiamarla con questo vezzeggiativo è la prova di un attaccamento familiare, viscerale, confidenziale. Di una pubblica intimità. Nessun milanese si permetterebbe di chiamare Gino Sant’Ambrogio. Né un fiorentino si rivolgerebbe a San Giovanni Battista col soprannome Giobatta. Ma quelli sono patroni maschi, corrucciati, barbuti, qualche volta un po’ irsuti come il Battista.
Mentre il rispetto e l’amore per santa Rosalia, per i più semplicemente “Rusulia”, appartengono al lato femminile della devozione, al suo lessico famigliare. Quello della vicinanza, della confidenza, dell’indulgenza. La Santuzza è come una mamma eternamente giovane, o come una sorella da coccolare. Ma questa prossimità affettuosa non toglie nulla alla fede nella potenza matriarcale della sacra vergine.
Tant’è vero che i miracoli della patrona non si contano. Sin dal suo insediamento ai vertici del pantheon cittadino, avvenuto nel 1624. Quasi un premio alla carriera, visto che in realtà la storia della santa è molto più antica e affonda le radici nel passato normanno dell’Isola.
Rosalia, infatti, per quanto ne sappiamo, appartiene alla nobilissima famiglia dei Sinibaldi, imparentata addirittura con Carlo Magno. Ovvero il re cristiano per antonomasia. Il paladino dei paladini, i vari Orlando, Rinaldo e Ruggero. Che da secoli rivivono nella metrica incantatoria dei cunti, sulle ali della voce di cantastorie come Mimmo Cuticchio. Che nei loro repertori hanno sempre avuto in cartellone le gesta miracolose di Rusulia.
Timida e fragile con le sue guance rosso carminio e coroncina di rose da jeune fille en fleur. Ma capace di vincere eserciti di Mori e di debellare la peste.
La sua vita spirituale inizia a metà del Millecento, quando rifiuta il matrimonio importante cui sarebbe destinata e si ritira prima in una cavità carsica nel bosco della Quisquina e poi in una grotta sul Monte Pellegrino, l’altura che sovrasta Palermo. Ma l’isolamento che la Romitella ha cercato in vita si interrompe dopo la morte. Perché, da quando il suo corpo è miracolosamente riaffiorato 450 anni dopo la sepoltura, la Santuzza non ha più avuto nemmeno un giorno di solitudine. E non ha più smesso di fare miracoli. Il primo è la liberazione di Palermo dalla peste che nel 1624 si è abbattuta sulla città. Qualche mese dopo è sufficiente portare in processione il suo corpo, perché gli ammalati guariscano e il contagio si arresti.Da quel giorno la chianata, l’ascesa rituale al monte non si è più interrotta. I pellegrini entrano nella grotta dove la santa li attende, vestita di oro, reclinata teatralmente su un fianco in una posa da gran signora, con la mano appoggiata all’orecchio come per ascoltare le loro richieste. Le offrono perfino i test di gravidanza positivi, come per legittimare la sua potenza fecondatrice con l’autorità della scienza. E non si creda che Rosalia faccia solo miracoli a chilometro zero. Opera anche extra moenia.
Come ha testimoniato personalmente il parroco della Cattedrale palermitana, don Filippo Sarullo, è apparsa in sogno a una donna di Roma affetta da sterilità, preannunciandole l’arrivo di due gemelli.
Ovviamente il sogno è diventato realtà. Due anni fa ha fatto gridare al miracolo i tifosi del Palermo, quando è apparsa sugli spalti del Barbera. In quel preciso momento il centrocampista Enzo Maresca ha segnato il gol che ha salvato in extremis i rosanero dalla retrocessione in serie B.
L’intervento prodigioso è stato certificato dagli smartphone. Che hanno fissato una sagoma luminosa sospesa sulle gradinate come su una nuvola barocca. Non era un fotomontaggio, né una fotoshoppata. Ma una fotofurbata sì. In realtà era solo il riverbero di un lampione. Ma la trance agonistica si è trasformata in visione mistica. Perché il miracolo della salvezza – e di miracolo si è trattato – non poteva che essere opera della santa. Così i giocatori, riconoscenti, hanno fatto tutti insieme la chianata al Monte Pellegrino per ringraziare della grazia ricevuta la patrona. Che dall’alto del monte continua a partecipare alla vita della città.
Persino per manifestare il suo malumore, come fece negli anni Novanta, quando il sindaco Leoluca Orlando propose di ridare lustro al culto di San Benedetto il Moro, antico patrono della città. Un masso si staccò dal monte Pellegrino e rotolò a valle.Tutti ci videro un avvertimento della Santuzza. E la pratica fu archiviata.
E un grazie corale alla vergine palermitana la città lo rinnova a luglio di ogni anno dedicandole il cosiddetto Festino, una sontuosa esplosione di passione identitaria. Che quest’anno ha compiuto 394 anni. La ricorrenza è così sentita che una volta nei contratti matrimoniali veniva inserita una clausola che obbligava lo sposo a condurre la moglie al Fistinu entro e non oltre un anno dalle nozze. Al centro della festa c’è il carro trionfale con la statua della santa. Quest’anno è stato affidato per la prima volta agli studenti del Liceo artistico Catalano, vincitori di un bando pubblico, che hanno rappresentato Rosalia diafana e bianca, come una vergine minimalista, a metà tra una kore greca e la principessa bambina di Jan Fabre.
Questa sorta di fede accesa, che trascolora nella fiducia, porta la vox populi ad attribuire alla protettrice celeste tutto quel che di positivo avviene a Palermo.
Così quando l’anno scorso Gianni Morandi è volato giù dal palco di Radio Italia Live, senza farsi nemmeno un graffio, non ha avuto nessun dubbio nell’attribuire alla patrona l’ennesimo miracolo. Adesso si aspetta che sconfigga anche la mafia, come quando ha scacciato i Mori. Lo ha gridato un ragazzo nell’ultima processione. E prima o poi Rosalia ce la farà. Con l’aiuto degli uomini.(5. Fine)