La Stampa, 27 agosto 2018
Messner: “La neve di agosto sulle mie montagne, una normalità che non si ripeterà più”
Sono le 18,30 e sto scendendo da Merano. La neve è così risalita che non ne vedo più, soltanto un filo nelle zone più alte. Questa mattina ne ho pestata un po’ mentre camminavo a 2000 metri. Una spruzzata, il bianco di dieci centimetri più su. Agosto con la neve. Sorpresa? Certo che no. Normale, normale, normale. Lo ripeto perché l’anomarlità è il contrario. Il caldo, le temperature di Roma che risalgono le Alpi, che le infuocano, questo sì che non è normale.La neve nel mese delle vacanze per eccellenza è sempre stata normale per la montagna. Il bianco quando ancora i pascoli sono verdi e quando il bruno delle erbe per le prime gelate notturne era al massimo appena più in basso degli sfasciumi morenici. Le temperature infuocate adesso superano la catena alpina e risalgono l’Europa, fino al Nord della Germania. Questa è l’anomalia, il caldo dove mai c’è stato, almeno negli ultimi cento anni. E accade così di assistere a fenomeni strani. La natura ci sorprende sempre e con questa febbre del pianeta capita di vedere nei nostri pascoli insetti mai visti e anche la vegetazione si arricchisse di specie che non mi pare di aver proprio mai incontrato alle nostre latitudini. Non sono un esperto, ma ci sono piante esotiche che dicono essere pericolose per le altre. Prendono spazio e le soffocano. La sorpresa è questa, il cambiamento climatico che stravolge certezze, abitudini. La neve d’agosto sull’arco alpino faceva parte della normalità. I fiocchi erano attesi, ma devo usare un tempo verbale passato perché è evidente che la memoria ha rimosso nella maggioranza delle persone questa normalità.
I nuovi colori
Era più insolita la neve di luglio che spezzava l’estate, ma dopo il Ferragosto il gelo cominciava a cambiare i colori. Per noi la neve d’estate in parte bloccava le scalate, dall’altra però rappresentava gioia: le montagne un po’ imbiancate aumentano il loro fascino, è per loro una veste che offre bellezza. Nella mia carriera sulle pareti delle Alpi – cerco nella memoria – saranno state almeno cinquanta le volte che ho dovuto rinunciare a una salita o interromperla a causa di una nevicata, anche abbondante.
Sulla verticalità la neve resta per poco, ma le pareti erano comunque da evitare. Poco male, dicevamo, perché il sole d’agosto o anche dei primi di settembre faceva sciogliere la neve e asciugava le pareti. Bastava avere un po’ di tempo, avere la pazienza di aspettare. Almeno per quanto riguardava le grandi vie, poi si tornava. Adesso queste nevicate durano una giornata e al di sopra dei 2500 metri di altitudine. Pare un mondo rovesciato, basta pensare a quanto sta accadendo in Groenlandia o le temperature incredibili, oltre i 30 gradi positivi, registrate in Scandinavia. Fenomeni che destano una giusta preoccupazione. Così nelle Alpi, sappiamo che le temperature medie aumentano di più rispetto a quanto accade in pianura. E gli effetti sull’ambiente, con la violenza dei temporali, le improvvise piene dei torrenti, possono essere devastanti. Si parla parecchio di biodiversità, di equilibrio ambientale, ed è evidente che le alte temperature hanno un’influenza importante.
L’incontro con insetti e piante mai viste rappresenta un esempio evidente di quanto sta accadendo. Per non parlare della velocità del ritiro dei fronti glaciali. Si avverte la sofferenza delle nostre montagne proprio a causa di questa febbre del pianeta. Quando la notte o l’alba in estate portano una nevicata che pare un anticipo d’autunno, non può che rallegrarci. È per me un ritorno a una normalità che certo la gente di montagna condivide. Ma è soltanto un’illusione, sappiamo che i segni del cambiamento climatico sono evidenti e che certo il termometro salirà, piuttosto che scendere. Questa nevicata ha concesso soltanto una tregua a una montagna febbricitante.
(Testo raccolto da Enrico Martinet)