Corriere della Sera, 27 agosto 2018
Quando Sophia Loren rifiutò Cary Grant e sfidò la bigamia
Il 23 agosto 1960 e il Corriere titola «a giorni, Ponti e la Loren in Tribunale per bigamia». Il produttore Carlo Ponti e l’attrice Sophia Loren rischiano da uno a cinque anni di carcere e, da tempo, evitano di tornare in Italia per non essere arrestati. Si erano sposati per procura in Messico il 17 settembre ‘57, certi che la moglie di lui non li avrebbe denunciati: anche Giuliana Fiastri desiderava tornare libera e aveva già perorato, invano, la causa di annullamento alla Sacra Rota. La denuncia, però, era partita da un comitato di cittadini ed era stata raccolta dal sostituto procuratore Martino Ferrajuolo, lo stesso che aveva provato a far annullare le nozze degli adulteri Roberto Rossellini e Ingrid Bergman.
Loren e Ponti si erano conosciuti quando lei aveva 17 anni, lui 39 ed era già sposato. L’amore era nato tre anni dopo, sul set della «Donna del fiume» di Mario Soldati, quando Ponti, ormai, aveva anche avuto due figli. L’ultimo giorno di riprese, lui si presenta con un astuccio, glielo porge senza dire nulla. «Non avevamo mai parlato di noi e non ne parlammo neanche in quel momento», ha ricordato Sophia nella sua autobiografia Ieri, oggi, domani, edita da Rizzoli, «fu un lungo istante silenzioso, luminoso, eterno. Scappai via e scoppiai a piangere di gioia». Sua madre, invece, la prese malissimo. Era certa che Sophia sarebbe finita come lei: sedotta, abbandonata e senza marito.
Proprio dopo aver visto quel film, Stanley Kramer offre a Sophia «Orgoglio e passione». Arriva un contratto con l’America, lei va Hollywood e lì può vivere con l’uomo che ama. Recita con Cary Grant, Frank Sinatra, Anthony Quinn. In quell’agosto del ‘60 in cui lei e Carlo rischiano l’arresto, però, sono tornati in Italia per girare «La ciociara», tratto dal romanzo di Moravia, diretto da Vittorio De Sica. È la prova d’attrice più dura di Sophia, che a 26 anni, invecchiata dal trucco di scena, recita la fuga dalla guerra e dai bombardamenti di una madre senza marito e con una figlia. Ed è, a parti invertite, la sua storia. Lei stessa, bambina, era scappata con la mamma da Pozzuoli, patendo la fame, abitando in un palazzo diroccato infestato di soldati marocchini che facevano bisboccia a tutte le ore. Sophia, che si chiamava ancora Sofia Scicolone, usciva per andare a scuola e trovava i preservativi nell’androne. E nel film ci sono i soldati marocchini e la terribile scena di uno stupro. Su quel set, racconterà lei, «Moravia comincia a scavare, senza pietà, con tutta la sua intelligenza. E porta alla luce la ferita da cui è nata Sophia Loren. La diversità della mia famiglia mi fa soffrire, mi riempie di vergogna, ma è la mia fortuna. È la forza che mi spinge a dimostrare chi sono. Il successo è un surrogato per la normalità irraggiungibile. Parto per Roma fuggendo da una bambina senza padre per cercare me stessa nell’attrice che voglio diventare. Il gioco si ripete con Carlo. È il produttore che potrebbe aiutarmi e l’uomo che potrebbe regalarmi la normalità. Ma ancora una volta un impedimento mi fa scartare di lato e forse arrivare più lontano. Ed ecco che lascio Roma per Hollywood, come avevo lasciato Pozzuoli per Roma. Lascio una situazione senza via di uscita per trovare una mia strada normale, che però non esiste. È questa impossibilità che mi induce a superare me stessa, a identificarmi coi personaggi e portarli alla vita. L’accusa di bigamia mi ruba la normalità. E io reagisco con “La ciociara”, che mi consacra nel mondo». E le porterà il primo di due Oscar.
Quella normalità resta, però, la tentazione con cui fa i conti quando conosce Cary Grant, nel ‘57, girando proprio «Orgoglio e Passione». Anche lui è sposato, solo che in America il divorzio è consentito. «Entrambi intuivamo che il sentimento fra noi cominciava a venarsi d’amore e ne avevamo paura», scriverà lei. L’ultima sera, mentre trionfa un tramonto bellissimo, Cary Grant le chiede «mi vuoi sposare?». A Sophia le parole si strozzano in gola. Risponde: «Ho bisogno di tempo». E lui: «Perché intanto non ci sposiamo e poi casomai ci pensiamo?». Cary non si dà per vinto. Le manda rose, lettere. Lei si tormenta, pensa che non può andare avanti così. Due giorni prima della fine delle riprese del loro secondo film, «Houseboat – Un marito per Cinzia», Sophia sta leggendo i giornali con Carlo: un articolo di Louella Parson annuncia il matrimonio per procura avvenuto in Messico il giorno prima. Entrambi, sosterrà lei, sono presi alla sprovvista, sapevano solo che gli avvocati stavano cercando una soluzione all’estero. Quel giorno, Cary reagisce da signore: «Tanti auguri, Sophia, spero che tu sia felice». Invece, cominciano i guai: gli attacchi sull’Osservatore romano, la denuncia per bigamia e concubinato e un calvario che si concluderà solo 9 anni dopo. Finite le riprese, Carlo e Sophia salgono su un aereo fra i giornalisti che li bombardano di domande. Lei ha 24 anni, è ancora una ragazzina. Si siede al suo posto e dice a Carlo: «Cary mi ha mandato un mazzo di rose gialle. Giallo gelosia? Quanto è carino...». Lui le stampa uno schiaffo in faccia sotto gli occhi di tutti. «Sentii le lacrime scendere sul viso. Mi sentivo morire (…). Ma avevo finalmente la conferma che Carlo mi amava, che io avevo scelto e avevo scelto bene».
Dopo complesse vicende giudiziarie e un lungo autoesilio parigino e americano per evitare il carcere, Ponti e Loren si sposano il 9 aprile 1966 in Francia. È stata la moglie di lui, Giuliana, che è avvocato, a scoprire che, prendendo tutti e tre la cittadinanza francese, potevano ottenere il divorzio e la libertà. I coniugi Ponti avranno due figli. Carlo morirà nel 2007, a 94 anni, prostrato dal diabete e da complicazioni polmonari. A tenergli la mano, c’è Sophia. Lei che la normalità l’aveva sempre cercata, dirà: «Ricordo la telefonata della clinica che diceva di correre. Ricordo una notte infinita, senza speranza… La morte è tanto più brutta quanto più è normale».