Corriere della Sera, 27 agosto 2018
L’Indiana Jones del Perù è italiano
NAZCA Il professore Giuseppe Orefici, direttore del Centro italiano di studi e ricerche archeologiche precolombiane, non è Indiana Jones. Non deve combattere contro i nazisti o una setta di fanatici. Il suo nemico, più realisticamente, è il Dio denaro. O meglio, la sua mancanza. La passione indomita è però uguale a quella del personaggio interpretato da Harrison Ford: un archeologo che non si arrende.
Arrivare a Cahuachi, il centro cerimoniale dell’antica civiltà Nazca, la stessa che tracciò le misteriose linee nel deserto peruviano, significa viaggiare per quasi un’ora in mezzo al nulla, sfidando il vento che solleva la sabbia tutt’attorno. All’improvviso, da quel nulla emerge un bellissimo tempio, a piramide... Se non fosse per il bresciano Orefici, sarebbe invisibile.
Settantadue anni, il fisico asciutto di chi passa lunghe ore all’aperto, dal 1982 dirige gli scavi. Anno dopo anno ha strappato al deserto e all’oblio la capitale della teocrazia Nazca, attiva fra il IV secolo a.C. e il 450 d.C., un sito religioso più esteso della Roma precristiana. Quest’estate lo hanno raggiunto 24 colleghi e assieme hanno consolidato due tombe e portato alla luce una testa-trofeo, preziosa «offerta» agli dei. L’anno prossimo re-inaugurerà il Museo Antonini, dove sono esposti alcuni dei reperti di Cahuachi, «il più grande sito al mondo in adobe, il mattone crudo».
«Per quasi mille anni questo centro è stato teatro di rituali, incontri collettivi, anche scambi commerciali – spiega Orefici –. I pellegrini arrivavano anche da oltre mille chilometri di distanza per portare le offerte agli dei. Il santuario era per le élite mentre le masse popolari dei fedeli si riunivano intorno alle piste o linee di Nazca».
Nel sottosuolo gli archeologi hanno trovato vasi, pietre preziose, lingotti d’oro ma anche ossa di porcellini d’India, becchi d’uccello e la testa di una donna sacrificata, con le spine a chiudere le labbra. Al fianco di Orefici lavorano esperti di astroarcheologia, etnomusicologia, geofisica, tossicologia – «con l’analisi dei capelli stiamo studiando gli effetti di varie droghe, come il san pedro, un cactus allucinogeno che abbiamo trovato in grandi quantità» —e perfino specialisti in droni.
Chi paga? Il Perù è il legittimo proprietario di tutti i reperti e per ogni pezzo prestato a un museo straniero riceve 3400 dollari. Ad Orefici, neppure un soldo. «E i finanziamenti del ministero degli Esteri italiano sono diminuiti del 95%, fino agli attuali 5000 euro l’anno. Con cui io posso lavorare due giorni. Il resto lo trovo come posso, perché in realtà qui operiamo 6-8 mesi all’anno. Per il 2019 non abbiamo più fondi, vedremo...».
L’archeologo non smetterà di scavare, di consolidare i muri in adobe per proteggerli dall’aggressione di pioggia e vento, di spiegare i misteri di questa civiltà pre-incaica che faceva sacrifici umani e dipingeva bellissime ceramiche. «Per completare il Gran tempio, che ha un fronte di 210 metri, avrei bisogno di altri dieci anni. Temo che la durata della mia vita non me lo consenta. E non ho delfini, nessuno continuerà il mio lavoro. Dove trova il pazzo che finanzia questo progetto?». Cahuachi morì quando fu colpita da due alluvioni e un terremoto violentissimi. I muri – alti fino a sette metri e spessi uno e mezzo – si spostarono di 80 centimetri. «La gente perse fiducia nei sacerdoti e le piramidi vennero abbandonate dopo essere state coperte», conclude Orefici. La sfida, ora, è evitare che la sabbia e l’oblio tornino a inghiottirla nel nulla.