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 2018  agosto 27 Lunedì calendario

Corsivi e commenti

Pazza
Corriere della Sera
L’Inter fatica a tenere il ritmo delle prime e anche di molte altre squadre. È una situazione molto più strana che in passato. Ieri col Torino ha giocato uno primo tempo perfetto, uno dei migliori degli ultimi due anni, sempre palla al piede e con un pericolo insistente. Poi è scomparsa, come avesse avuto un infortunio grave. Non un calo fisico perché non avviene così di colpo e così sparso su tutta la squadra. L’Inter all’inizio della ripresa non ha avuto più niente da dire alla partita. Mentre il Torino cresceva e confermava le sue qualità di squadra completa, molto fisica fra centrocampo e difesa, altrettanto tecnica in attacco. Il pareggio è avvenuto spontaneo, come fosse uno zero a zero. È vero che il Torino non meritava di perdere nemmeno con la Roma, che è una squadra frenata dal calendario, ma un’assenza così improvvisa dell’Inter non era aspettabile. Aveva dominato il primo tempo, era sembrata una squadra pronta alle imprese, equilibrata, corretta. Poi è scomparso tutto così in fretta da non lasciare un senso. Una parte di spiegazione è nell’atteggiamento iniziale del Torino, molto scuro, guardingo, punito presto dal gol. Ma l’Inter ha subìto per intero il gioco asimmetrico del Toro nel secondo tempo, ha sofferto qualunque cosa facesse la squadra di Mazzarri, molto maschile, a proprio agio con il vai e vieni leggiadro dell’Inter in vantaggio. Ora il campionato è lungo ma oggettivamente compromesso nella sua fase iniziale. Il Napoli ha perso nel maggio scorso contro la Juve per 3 punti, la Roma di 4 due stagioni fa. Ora l’Inter è a 5 punti da Napoli e Juve. Il distacco pesa alla seconda come alla penultima giornata. Ma soprattutto non si capisce la logica del risultato di oggi, dove sia il bene e dove il limite. Basta con l’Inter pazza, pensavamo fosse l’ora di una squadra normale. Invece non è nemmeno il momento della stabilità. Manca per intero la metà campo, manca il carattere e l’estro dei centrocampisti veri, manca il carattere di una squadra. L’Inter è come un’allergia, mai grave ma quasi sempre incurabile. Stupisce intanto la Spal, in testa alla classifica, altra squadra di poche spese costruita al meglio. Si allarga la Fiorentina, deliziosa fino all’eccesso, piena di mezze punte e attaccanti, dal gioco molto verticale e quasi sempre di prima. Qualcosa di nuovo c’è sullo sfondo del campionato, sono molti i giocatori diversi.
Mario Sconcerti


Coraggio
La Stampa
E’ ancora e pur sempre calcio d’agosto, e si sa che serve il beneficio d’inventario. Ma mica facile commentare una partita così, che il Torino aveva servito all’Inter su un piatto d’argento e si è visto restituire con altrettanta cordialità nella ripresa. E se a fine primo tempo erano i granata a dover rimpiangere di non essere su Dazn, dove tra un’interruzione e uno sgancio tutto sarebbe passato assai più inosservato, alla fine è toccato ai nerazzurri: che una settimana fa, grazie proprio alle nefandezze della piattaforma, avevano disgustato soltanto i tifosi convenuti a Reggio Emilia. Mentre stavolta hanno mostrato urbi et orbi che se l’oggetto del contendere è, nientemeno, lo scudetto, beh di strada da fare ce n’è tanta. Certamente più di quanta ne debba percorrere il vecchio Toro per provare a giocarsi l’Europa. A patto, si capisce, di ripartire dal secondo tempo. Quando, perso per perso, ha cominciato a osare, a manovrare con coraggio, a mettere a fuoco che l’Inter non l’aveva messo sotto per meriti suoi quanto per mollezza di atteggiamento, di opposizione da parte di una squadra che pareva votata al sacrificio, se non alla resa. Perché era un’Inter non più che convalescente. Che era sembrata spadroneggiare solo perché il Torino non trovava la forza, ma prima ancora il coraggio di provare ad opporsi. Di assecondare, se non altro, quel grande giocatore che è Iago Falque, leader assoluto in quest’avvio di stagione del gioco granata. Perché già nel primo tempo lo spagnolo aveva tentato invano di suonare la carica e dettare i tempi della riscossa: ma al momento di guardarsi intorno vigliacco se uno l’aveva seguito. Nella ripresa invece, avanzato il baricentro, i compagni l’hanno finalmente assecondato: e dopo lo strepitoso assist da metà campo per Belotti, con la coproduzione di Handanovic, altre invenzioni sono seguite, compresa l’azione che ha fruttato il pareggio.
Poi alla fine anche Sirigu ci ha messo del suo, con la gran parata su Perisic. Ma era stata la voglia di giocarsela da Toro vecchia maniera a rimettere in asse una partita strapersa. Dopo un avvio molle e distratto che una squadra in lizza per l’Europa non si dovrebbe permettere, nemmeno, anzi tantomeno a San Siro.
Gigi Garanzini




Rosso
la Repubblica
Tutto molto rosso e molto profondo. Fa paura questa Ferrari che ora è proprio la più forte, con Vettel che brucia Hamilton di pura potenza e in Belgio chiude la gara dopo mezzo minuto. Un rombo che arriva dal cuore e già si spinge fino a Monza per la corsa più grande che c’è: domenica. Ma giovedì si comincia a sgommare, e mercoledì i bolidi saranno addirittura in Darsena a Milano per farsi sentire e guardare da vicinissimo e quasi toccare. Uno spettacolo popolare, le macchine e gli uomini che le governano, molto meglio se rosse e rossi.
Ci sono vittorie diverse, che riguardano tutti. Questa è venuta con il disegno di un ponte spezzato a marchiare carrozzeria e anima; un Paese può provare a ritrovarsi in tanti modi e lo sport è occasione, consolazione, energia dopo le lacrime. Anche a Marassi è stato così, nei lunghi e silenziosi minuti durante Genoa-Empoli, 43’ senza tifo, uno per ogni persona che non c’è più. Lo sport sa, sente e dice, talvolta anche quando tace.Speciale, il rombo della Rossa, anche perché è stato il primo gran premio vinto dopo la scomparsa di Sergio Marchionne. E la memoria corre a trent’anni fa, quando le Ferrari arrivarono prima e seconda a Monza con Berger e Alboreto, neppure un mese dopo l’addio al Drake. Nel 1988 le McLaren di Senna e Prost avevano vinto sempre, ma non nel giorno della memoria di Maranello. Fu un destino.
Ci sono vittorie che arrivano per caso e corrono come nuvole, altre che segnano una svolta: a Spa forse è successo, anche se Hamilton rimane in testa al mondiale. Ma osservare come il fuoriclasse inglese sbirciava la rossa di Vettel dopo l’arrivo, come se quella meraviglia appena parcheggiata custodisse un indecifrabile mistero, ha rivelato più di mille parole.Anche il campione del mondo deve aver capito che quel mondo, chissà, adesso potrebbe conquistarlo qualcun altro.Perché cominci a succedere bisogna però che il giorno di Monza sia il più rosso di tutti, il più profondo. Da brividi.
Maurizio Crosetti


Animali
il Giornale
Dal Sudafrica vedo l’Italia con amore e con rabbia. Vedo più animali che uomini, ma in Italia ho visto molti uomini che erano peggio degli animali.
Mentre, come nel caso di Sirmione, un esempio, posso trovare molte città amiche (ieri mi hanno offerto la candidatura a Trani, e la lotteria potrà continuare), penso con struggimento a Sutri e ai suoi cittadini buoni e intelligenti, in mano a bestie ignoranti. E mi sembra che, alla prossima scadenza elettorale, oltre le mie inevitabili dimissioni e la loro disperata sfiducia, con la quale spariranno, la soluzione più umana e meno politica, per l’amore che ho per Sutri, e per il piacere della sfida, sia ricandidarmi. Non gliela darò vinta. Aggredito da un fascista dichiarato a Sutri, vengo respinto a Sirmione da una fascista semi-pentita che la pensa come il modesto Andrea Palmerini del Pd. Lei, Viviana Beccalossi, decide che la mia candidatura è inopportuna, dimenticando che la mia attività di sindaco ha potenziato la vocazione turistica di città come San Severino Marche e Salemi, come sta già accadendo a Sutri. Ovunque c’è un fascista che non mi vuole, nonostante il mio dialogo aperto con Giorgia Meloni.
E mentre Sutri non troverà più uno Sgarbi, pronto a raccontarne al mondo la bellezza, io non faticherò a trovare comuni che potranno volere un sindaco pieno di passione per l’arte e per la bellezza, disponibile a farlo gratis.
Vittorio Sgarbi