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 2018  agosto 26 Domenica calendario

Intervista a Oscar Farinetti: «La sinistra deve rassegnarsi, la lotta di classe non c’è più»

Oscar Farinetti, è d’accordo con Gad Lerner? Dice che per ripartire il Pd deve fare a meno di quelli come lui, di sinistra ma amici di finanzieri e industriali, ora tocca ad altri, sindacalisti e cooperanti. 
«Ho sempre apprezzato Lerner ma non mi ritrovo nella sua analisi che divide il mondo tra capitalisti, lavoratori, volontari, media, eccetera. Ha elementi di verità, ma non è attuale. La rivoluzione tecnologica ha cambiato i rapporti tra gli umani e i vecchi paradigmi sulla divisione in categorie economiche».
In che senso? 
«È più sensato parlare di categorie di sentimenti (che generano parole e comportamenti), trasversali a quelle economiche. Finché non cambieremo il nostro modello socio-economico, la società dei consumi, resteranno in vita queste categorie economiche. Il punto è permettere alle persone, in base al merito, di poterle attraversare. Ciò dipende dai sentimenti: sono diventati molto più discriminanti della posizione economica. Mi riferisco in particolare a tre. Il primo è la propensione a comprendere l’imperfezione umana e saperla gestire rispetto alla pretesa di perfezione. Il secondo è la propensione alla fiducia rispetto alla sfiducia. Il terzo è l’altruismo rispetto all’egoismo».
Che c’entra con Genova e la sudditanza della sinistra alle imprese? 
«Siamo esseri imperfetti, non possiamo che creare progetti imperfetti. Leggi imperfette, riforme imperfette, purtroppo anche ponti imperfetti. Riconoscere la nostra imperfezione ci aiuta a essere il meno imperfetti possibile. Cercare la perfezione, peggio ancora pretenderla, crea sfiducia verso gli altri e in sé stessi. Porta a cercare affrettatamente colpevoli anziché rimedi, frena il progresso, il quale naturalmente si porta dietro imperfezioni».
Quando però il ponte imperfetto crolla e la sinistra sembra avere come priorità difendere i profitti miliardari di chi quel ponte lo gestiva c’è un problema.
«Non condivido la sua impressione. Non ricordo nessun intervento di persone di sinistra che avessero come priorità i profitti miliardari del concessionario. Ho sentito molti che criticavano la volontà di individuare immediatamente un unico capro espiatorio. A individuare le responsabilità deve essere la magistratura. È evidente che il concessionario abbia responsabilità. Tuttavia ritengo che alla fine le responsabilità del crollo risulteranno plurime».
Da imprenditore, lei ritiene che il Pd, negli ultimi anni, abbia rappresentato le priorità dei lavoratori o quella delle aziende?
«Ma veramente lei pensa che le priorità dei lavoratori e delle aziende siano alternative e contrastanti? Non condivido questa visione marxista della lotta tra classi. Le priorità poi, in tempi difficili, coincidono. Quando il governo Renzi deliberò 80 euro al mese in aggiunta alle buste paga inferiori ai 1.500 euro io, imprenditore, ne fui felice. Non la giudicai una mossa “di sinistra” contro l’impresa. Se i lavoratori guadagnano di più, lavorano più serenamente e ne guadagna anche l’impresa. Quando le tasse sui guadagni finanziari furono elevati a quelli delle imprese e dei lavoratori non lo giudicai come un gesto della sinistra contro la finanza, ma un atto di giustizia. La sinistra al governo di cose buone ne ha fatte. Ma, come tutti, forse poteva farne di più e meglio. E poi, come tutti, ne ha fatte di sbagliate».
Lei ha accompagnato, in parallelo, la parabola del renzismo. Anche in quella stagione molti protagonisti del centrosinistra sono stati sedotti dagli imprenditori di successo come Sergio Marchionne. 
«Marchionne non è stato un imprenditore ma un manager. Il suo successo è stato salvare la Fiat che stava fallendo. Avremmo avuto migliaia di nuovi disoccupati, oggi grazie alle sue intuizioni abbiamo più occupati. Ho avuto il piacere di conoscerlo e provo una grande stima nei suoi confronti. È stato duro con alcuni concorrenti e con altri manager che non meritavano certe posizioni, anche troppo duro con alcuni manager bravi che ha sfiancato e perso. Ma non certo coi lavoratori delle fabbriche, una grande maggioranza gli ha voluto bene».
A Genova abbiamo visto i partecipanti ai funerali applaudire il governo che contesta la concessione di Autostrade e fischiare il Pd che la difende. Che lezione ne dovrebbe trarre il vertice del Pd?
«Occorre sempre trarre lezioni quando ti fischiano e spero che il Pd lo faccia. Non mi sento in grado di indicare quali. Sono ancora scioccato di fronte ai 43 morti e agli sfollati, come resto scioccato ogni volta che apprendo di decine o centinaia di persone morte in mare nel tentativo di guadagnare un luogo migliore per vivere. Di fronte a certe tragedie occorre riflettere, avere dubbi e poi agire, ma senza proclami che fomentano un clima di sfiducia».
Dice Lerner, da giornalista, che i giornali sono stati troppo indulgenti con i Benetton come con Marchionne. È d’accordo? 
«C’è chi esagera da una parte e chi dall’altra. Credo che Autostrade si assumerà le sue responsabilità e pagherà quanto le compete. Trovo normale che il governo in carica contesti queste responsabilità e abbia iniziato una procedura di revisione della concessione. Spero e credo che la magistratura farà luce sul livello di rispetto degli impegni di manutenzione da parte di Autostrade e sui livelli di controllo da parte dello Stato. Poi il governo deciderà il da farsi. Ora occorre abbattere subito il ponte e rifarlo. Noi, grazie alla buona volontà dei ragazzi di Eataly Genova, qualcosa abbiamo fatto per gli sfollati e siamo pronti a collaborare con la città. Però non condivido certi toni sentenziatori a caldo. Come non condivido questa voglia di statalizzazione, basata su numeri approssimativi e confondendo utili e ricavi».