La Stampa, 26 agosto 2018
«De Gaulle, il primo gigante mediatico». Intervista allo storico Julian Jackson
Professore di storia alla Queen Mary University di Londra, è uno dei maggiori esperti britannici della Francia del 20° secolo. La nuova, magnifica biografia di Julian Jackson, A Certain Idea of France - The Life of Charles de Gaulle, dimostra come molte scelte politiche francesi dopo la morte di de Gaulle hanno a che fare con la sua eredità.
Quanto tempo ha impiegato a scriverla e perché proprio lui?
«Ho lavorato a questo libro negli ultimi cinque anni. Lui perché se si vuole capirne bene la storia della Francia bisogna conoscere De Gaulle».
È stato un gigante?
«Era alto circa 1,95 quando la statura media nel 1930 era di 1,67. Era imponente e questo in un Paese dove in genere la gente è piuttosto piccola ha la sua importanza. Era un gigante in senso letterale, ma anche dal punto di vista morale. Aveva una personalità straordinaria, è stato il protagonista centrale delle due guerre civili scoppiate in Francia nel XX secolo».
Quando diventa «De Gaulle”»?
«Era un generale di brigata che arrivò a Londra il 17 giugno 1940 perché si rifiutava di accettare la sconfitta della Francia e la fine della guerra. Capì che era solo la prima battaglia di quella che sarebbe diventata una guerra mondiale, e che la Francia avrebbe dovuto combatterla al fianco degli alleati. Dal momento che il governo francese ufficiale del maresciallo Pétain aveva capitolato, De Gaulle si assunse il compito di rappresentare i veri interessi nazionali della Francia. Aveva un’eccezionale forza di volontà e una fiducia in se stesso quasi sovrumana. Dire che sei la Francia quando possiedi a malapena una valigia è un’affermazione notevole».
Cosa ne pensavano di lui Churchill e Roosevelt?
«Nessuno dei due accettò la sua rivendicazione di parlare a nome della Francia. Churchill lo sostenne solo perché sperava che il suo esempio sarebbe stato seguito da altre persone di maggior peso. Non lo sopportava perché De Gaulle, per dimostrare che non dipendeva da nessuno, mordeva la mano che lo nutriva – Churchill per l’appunto. Divenne un grande comunicatore radiofonico. Gli inglesi, che gli permisero di usare la Bbc, crearono un mostro che non riuscivano più a controllare».
Sapeva che avrebbe vinto la guerra?
«Comprese che avrebbero vinto gli alleati e voleva che la Francia fosse tra i vincitori».
Si può dire che De Gaulle vinse la guerra per la Francia senza combattere?
«Lui avrebbe voluto combattere, ma aveva solo la sua voce. È il primo esempio di leader politico creato dalla radio. E un grande politico, un mix di ostinazione e pragmatismo».
Perché se ne andò nel 1946?
«Si rifiutava di accettare il sistema parlamentare della 4a Repubblica appena nata! Voleva che il presidente avesse molto potere. È stato lui a creare l’odierna costituzione francese che attribuisce al presidente della Repubblica un potere politico maggiore rispetto a qualsiasi altro capo di Stato europeo, superiore a quello del presidente Usa».
Cosa fece tra il 1946 e il 1958?
«Fondò un partito, l’Rpf, Rassemblement du peuple français. Nel 1951 si presentò alle elezioni ma non prese abbastanza voti. Allora si ritirò e scrisse le sue memorie».
Cosa accadde nel 1958?
«A maggio ad Algeri ci fu un tentativo di colpo di Stato militare perché l’esercito pensava che i politici avrebbero abbandonato l’Algeria francese. De Gaulle torna al potere e chiede come condizione la nuova costituzione, quella della 5a Repubblica, tuttora vigente».
Cosa fece negli anni in cui fu al potere dal 1958 al 1969?
«Diede l’indipendenza all’Algeria, portò la Francia fuori dalla Nato, sviluppò una politica estera francese indipendente, riconobbe la Cina comunista, pose il veto all’ingresso della Gran Bretagna nel Mercato comune e dotò la Francia di una deterrenza nucleare indipendente. E creò le istituzioni francesi così come sono ancora oggi. La foto ufficiale di Macron lo ritrae davanti a una copia delle memorie di guerra di De Gaulle».
Doveva tutto a Gran Bretagna e America. Perché portò la Francia fuori dalla Nato e non voleva la Gran Bretagna nel Mercato comune?
«Aveva una visione dell’Europa come un’entità indipendente dai due blocchi, statunitense e sovietico. La sua ossessione era l’indipendenza. Pensava a un’Europa dove la Francia dominasse con la Germania come alleato e diffidava del legame dell’Inghilterra con gli Usa. Quando si oppose all’ingresso della Gran Bretagna usò argomenti che oggi appaiono profetici, disse che i britannici non sarebbero mai stati del tutto europei».
Britannici e americani gli piacevano?
«Era un rapporto di amore-odio. Doveva opporsi all’America perché era troppo dominante. Era solito dire: “Per esistere bisogna avere dei nemici”».
E Stalin e l’Urss?
«Era convinto che Francia e Russia fossero due potenze continentali che condividevano certi interessi storici e strategici, tra cui il timore della Germania. Raramente parlava di Urss, preferiva parlare di Russia perché per lui contava la nazione e non l’ideologia. Nel 1944 ad esempio, firmò l’alleanza con Stalin, e nel 1966 visitò l’Urss».
Nel 1968 fu contestato dagli studenti parigini ...
«Era uno dei loro bersagli. Lo consideravano un vecchio e la rivoluzione contro di lui quasi riuscì. Fu salvato da Pompidou che tenne a galla il governo. De Gaulle sopravvisse ma lasciò l’anno dopo, aveva 78 anni. Morì nel 1970, a 80».
Quali conclusioni ha tratto dalle sue ricerche?
«Per me è un grande. Le istituzioni francesi, e la politica estera sono ancora quelle create da lui. Macron non potrebbe essere Macron senza De Gaulle. Fu, al pari di Churchill, una specie di profeta. Entrambi negli Anni 30 compresero il pericolo tedesco».
Era antisemita?
«No, pensava che la guerra dei Sei giorni fosse un errore e tenne una conferenza stampa denunciando l’espansionismo di Israele. Non amava né odiava gli ebrei, era pragmatico».
Resterà nella storia, come Napoleone e Carlo Magno?
«È un simbolo di ciò che la Francia è stata e potrebbe diventare. È un mito necessario, in Francia, a lui sono dedicate più strade che a chiunque altro. Trascende la destra e la sinistra, ebbe intuizioni straordinarie sull’evoluzione del mondo. Più la Francia si immiserisce, più pensa a De Gaulle».
(Traduzione di Carla Reschia)