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 2018  agosto 26 Domenica calendario

Un bel romanzo sulla burocrazia di Bruxelles

«Se vogliamo colpire a morte un’idea, la prima cosa da fare è approvarla e promettere tutto l’appoggio necessario»: regola non scritta della Disunione Europea, e del suo cuore chiamato Bruxelles. Là dove, una sera come tante, il cielo «stava facendo il suo dovere: pioveva. Adesso sembrava piovessero gocce di luce blu». O dove un’altra sera incontri «la scultura Il sogno Europa in Rue de la Loi. La figura in bronzo di un uomo cieco (o sonnambulo?) che dal basamento fa un passo nel vuoto». E quella statua parla già da sola.
Non era mai stato scritto un romanzo sull’Unione Europea, la sua burocrazia, gli uomini che vi lavorano, la città che li ospita. Era (è) molto difficile farlo: troppo complesso l’enigma nascosto fra vertici, carte e timbri. Ma ora Robert Menasse, scrittore austriaco che a lungo ha studiato la Commissione Europea dal suo interno, lo ha fatto: e il risultato è La capitale (Sellerio), 300 mila copie già vendute in Germania, traduzioni avviate in 24 Paesi, vincitore del Deutscher Buchpreis 2017, il premio letterario più autorevole per gli scrittori di lingua tedesca.
La storia. A 50 anni dall’istituzione della Commissione Europea, la sua immagine è in coriandoli: solo il 40% degli europei la approva. Così si decide di fare qualcosa, un Giubileo basato sul grido fondatore dell’Ue: «Mai più Auschwitz». Le idee sono molte (una marcia dei superstiti di Auschwitz? Una nuova capitale europea ricostruita laggiù, come Brasilia? Una festa a Roma, come propongono gli italiani anche se Roma non c’entra nulla perché la Commissione è nata a Parigi?). E sono molti anche i funzionari Ue mobilitati con le loro ambizioni alla ricerca di visibilité. Ma l’ultimo superstite di Auschwitz muore nell’attentato islamico alla stazione della metropolitana di Maalbeck, e nel frattempo il progetto è già naufragato per i troppi interessi in gioco: «Se vogliamo colpire a morte un’idea…».
È difficile saltare una sola pagina di questo libro intenso e profondo: dove c’è il giallo (omicidio all’hotel Atlas, «in cui alloggiavano soprattutto lobbisti che curvi si trascinavano appresso i loro trolley») ma anche lo humour, con pagine surreali e sorridenti che ricordano il quasi-bruxellese Magritte: un maialino misterioso vaga per la città, tutti lo cercano come l’elefante bianco di Mark Twain, ma alla fine si scoprirà che forse non è mai esistito. «Il maiale come metafora assoluta», titola un giornale. Come l’Ue, tuttora in attesa del suo compimento? Menasse questo non lo dice ma forse è da noi che aspetta una risposta.