26 agosto 2018
In morte di Lindsay Kemp
Valerio Cappelli per il Corriere della SeraÈ volato via ieri, a ottant’anni, nell’amata Livorno, lasciandosi dietro l’immagine di quando, avvolto in luci lunari, volteggiava agitando ali di farfalla rubate a Loïe Fuller e alla sua danza serpentina. Non solo coreografo, danzatore, mimo e regista, Lindsay Kemp è stato un grande alchimista del teatrodanza che riusciva a trasformare mondi letterari, poetici, pittorici, in creazioni originali sempre diverse e, per certi versi, sempre uguali, tanto era forte e inconfondibile il suo marchio.
Era nato il 3 maggio 1938 nel Cheshire, la contea a nord-ovest dell’Inghilterra dove la penna di Lewis Carroll aveva collocato la provenienza di Stregatto, il felino invisibile che sorrideva in Alice nel Paese delle meraviglie. Felpato nei movimenti e sornione nel sorriso, anche Kemp possedeva i geni della grande tradizione visionaria anglosassone con vista sull’inconscio e sul sogno, oltre lo specchio di una realtà convenzionale a due dimensioni e generi: nel cinema, trovò registi affini che lo diressero, da Ken Russell a Derek Jarman, oltre l’amicizia con Fellini.
Maschera british e scandalosa, la cui identità mutava camaleonticamente in una nuova frontiera del teatrodanza, l’ineffabile Lindsay aveva coltivato il gusto della trasgressione fin da ragazzo, quando si finse pazzo per evitare il servizio militare e darsi anima e corpo alla danza dribblando l’opposizione materna. Dopo gli studi al Ballet Rambert e con il mimo Marcel Marceau, suo mentore, che gli trasmise la tecnica gestuale delle mani e l’abitudine di truccarsi il viso di bianco, maturò esperienze nel cabaret e nel musical, fondando la sua prima compagnia nel 1962.
Kemp resterà sempre legato al circo umano e grottesco «en travesti» del suo Flowers in cui aveva trasposto, con tocco surreale e irriverente, Nostra Signora dei fiori di Jean Genet fondendo danza, mimo, burlesque e queer con grazia decadente. Quando lo spettacolo arrivò in Italia, dopo aver trionfato negli anni Settanta e Ottanta nel West End e a Broadway, fece scalpore e creò un pubblico di aficionados che tornò a rivederlo nelle svariate edizioni, cui seguirono trasposizioni sceniche di altri testi letterari, tra cui il shakespeariano Sogno di una notte di mezza estate, una Salomè tratta con impudente licenza da Wilde, un’Alice nel paese delle meraviglie di cui lo stesso Lindsay era l’inquietante e tirannica Regina che esigeva il taglio della testa di un’efebica Alice.
Nella sua galleria di personaggi lunari e peccaminosi entrarono il ballerino folle Nijinskj, il macabro Mr. Punch, la ballerina Argentina di flamenco, ma anche il «duende» di Lorca. Se l’uomo Kemp era causticamente ironico e garbato, amabile conversatore in stile old british, l’artista era sempre in bilico su un mondo onirico e gaudente, come testimoniano i suoi molti disegni dal tratto essenziale ma evocativo, affollati di marinai e figure circensi.
Il gesto transgender di Kemp marchiò anche il mondo pop-rock più incline al teatro attraverso i concerti di David Bowie e le interpretazioni video della cantante-ballerina Kate Bush, sua allieva all’inizio della carriera. Con il Bowie di Ziggy Stardust, Kemp lasciava intuire di aver passato notti spregiudicate ed erotiche. Partecipò nel 1989 a Mantova Festa a Corte, show tv d’alta gamma del duo Cappelli-Ottolenghi: tra il pas-de-trois di Nureyev, Fonteyn e Fracci e i Momix, la danza di Lindsay galleggiava come un’isola di poesia.
Silvia Paoli per il Messaggero
Il mimo-coreografo-regista inglese Lindsay Kemp, 80 anni, è morto ieri a Livorno, dove viveva stabilmente dal 2008. Con il suo lavoro ha ispirato icone del rock e artisti leggendari. Da David Bowie a Peter Gabriel. Vi piacciono i Momix e le loro trovate acrobatiche? Ringraziate Lindsay Kemp. Ricordate la mimica e i costumi di Babooska di Kate Bush? Dietro c’era Kemp. Vi piace Lady Gaga? Lui l’ha influenzata in tutto e per tutto. Avrebbero anche voluto fare uno show insieme. Per non parlare di Bowie. «A David ho insegnato a comunicare, esprimersi col corpo, ballare. Gli ho fatto capire l’importanza del look, del trucco, delle tecniche di performance». Lindsay Kemp ricordava così, nel 2016, il suo rapporto con la superstar che all’epoca - la fine degli anni 60 - non era Ziggy Stardust e forse senza di lui non sarebbe diventanto l’icona del rock che è e sarà per sempre.
Danzatore, mimo, coreografo, regista, Kemp se n’è andato a Livorno, in Toscana. In un’altra cittadella non lontana dal mare, Cheshire, nel nord dell’Inghilterra, era nato nel 1938, cresciuto da una mamma sola (il marito era morto per mare nel 1940) poco propensa a lasciarlo danzare. «Però, una volta capito il mio talento, mi lasciò fare», disse una volta, ma pare la donna si fosse convinta delle sue doti teatrali solo quando il figlio, per evitare la leva, si era finto - credibilmente - pazzo. Kemp studia arte al Bradford College of Arts dove è amico del pittore David Hockney, che gli suggerisce di trasferirsi a Londra, al Ballet Rambert, dove è allievo del mimo francese Marcel Marceau, che gli trasmette la sapienza espressiva della mani («ha liberato le mie mani, gli devo questo e molto altro», dirà dell’amico e maestro), che Kemp renderà un suo tratto distintivo, insieme ai costumi veleggianti, le luci e le ombre, le allusioni al teatro kabuki, la pantomina, il travestitismo. Dal 1962 dà vita a compagnie che mettono in scena spettacoli in cui tutti i linguaggi si fondono: dal teatro danza al cabaret, dal mimo al burlesque, dal circo allo spogliarello. La sua fama raggiunge l’apice tra gli anni 70 e 90, quando il suo spettacolo Flowers, partito da Londra, ispirato a Notre Dames des Fleurs di Jean Genet ha così tanto successo da sbarcare a Broadway e, nel giugno 1979, all’Eliseo di Roma, voluto da Romolo Valli («che grande e generoso artista», diceva Kemp), dove incontra il favore del pubblico e della critica e grazie al quale inizierà una nuova produzione, quella di Sogno di una notte di mezza estate, tratto (kempianamente) da Shakespeare.
Se nel mondo della danza è un mito, per il grande pubblico rimane centrale - anche se poco noto - il rapporto con Bowie, iniziato nel 1966, quando il cantante aveva 19 anni («lo ammetto», disse Kemp, «è stato uno dei più grandi amori della mia vita»). Bowie aveva visto Kemp in uno spettacolo a Londra e aveva iniziato a prendere lezioni da lui al Dance Center di Covent Garden.
Per la performance di Ziggy Stardust, Kemp mette in scena mimo, teatro di avanguardia, «glam-rock e gay-rock», dando vita a una performance-concerto al Rainbow di Londra («alle prove, ci raggiungevano gli amici con il whisky, da Lou Reed a Iggy Pop», ricordava) che ha influenzato tutti, dai Pink Floyd ai Genesis (Kemp ha collaborato anche con Peter Gabriel). Una vita-show: cacciato dall’accademia navale per aver interpretato una Salomé coperta di carta igienica («troppa la carta consumata, questo il motivo dell’espulsione»), ha girato il mondo, ammirato da Warhol a New York e da Salvador Dalì a Barcellona. Al momento stava curando un corso per il Teatro Sociale di Como, in passato aveva tenuto corsi di teatro e danza al Goldoni di Livorno (qui domani, alle 11, sarà allestita la camera ardente per l’ultimo omaggio). A luglio Kemp aveva partecipato a una mostra fotografica con suoi ritratti del fotografo Renzo Belli a Torre del Lago, la città di Puccini, in Versilia. Lui, col trucco, icona della danza mondiale abitava a Livorno, città di porto, gente schietta e sardonica, e aveva casa dove una volta c’era il Teatro Politeama. Un Pierrot che al posto della lacrima aveva lo humor e la magia dell’improvvisazione.