Corriere della Sera, 26 agosto 2018
Italia, un paese da mondo antico
Eccellenze italiane si incontrano in molti campi. Nel parco scientifico-tecnologico costruito vicino a Mirandola dopo il terremoto del 2012 è nato uno dei maggiori distretti europei per dispositivi medici monouso, un centinaio di aziende, 5 mila addetti e circa un miliardo di euro di giro d’affari. Leonardo Del Vecchio con la fusione fra Luxottica e la francese Essilor oggi controlla un gruppo che ha un miliardo e mezzo di clienti, un numero che sta a metà strada fra i clienti di Facebook e quelli di Google. Lo straordinario design italiano esporta ovunque nel mondo e ci è invidiato da tutti. Richemont, uno dei principali gruppi del lusso, ha acquistato Yoox Net-A-Porter, l’azienda creata dall’imprenditore ravennate Federico Marchetti che oggi fattura oltre 2 miliardi di euro l’anno. Persino le banche: Crédit Agricole, la grande banca francese, ha investito 4 miliardi di euro per acquistare istituti di credito in Italia e anche Deutsche Bank sta rafforzando la sua presenza in Italia, uno dei pochi mercati in cui oggi la banca tedesca cresce.
In molte aree della ricerca scientifica gli italiani eccellono, dalla medicina, alle scienze naturali a quelle sociali e le migliori università del mondo sono piene di giovani italiani, spesso fra gli studenti e i ricercatori migliori. Un mese fa Alessio Figalli, matematico romano, laureato e dottorato alla Normale di Pisa, che ora insegna a Zurigo, ha vinto la Fields medal, il Nobel della matematica.
L’ Istituto italiano di tecnologia di Genova è un centro di eccellenza riconosciuto a livello mondiale, come lo sono tanti laboratori sparsi un po’ ovunque in Italia, e ce ne sarebbero molti di più se tante università non si chiudessero a riccio proteggendo i ricercatori locali.
Questa è l’Italia sulla quale scommettono gli investitori esteri. Un Paese aperto, le cui imprese competono e vincono nel mondo e così facendo creano ricchezza per l’Italia. La misura del loro successo è il nostro attivo commerciale (differenza fra esportazioni e importazioni) che lo scorso anno ha quasi raggiunto i 60 miliardi di euro.
Certo, ci sono problemi. Uno dei principali è la caduta della natalità e l’invecchiamento della popolazione con conseguenze sia produttive che sulla finanza pubblica. Il flusso migratorio, certamente da regolare, ci sta però aiutando. Un sondaggio dell’Associazione industriali di Brescia mostra che il 53% delle imprese bresciane censite ha alle proprie dipendenze lavoratori extracomunitari, con punte del 73% nelle imprese metallurgiche e siderurgiche. La maggior parte (71%) delle imprese che hanno dipendenti extracomunitari si dichiara soddisfatta del loro lavoro. Solo l’1% è insoddisfatto.
A fronte di queste realtà, quale è il modello di Paese che Lega e M5S ci prospettano? Un Paese impaurito dagli immigrati che sono solo il 9% circa della nostra popolazione contro il 12 in Germania e Francia, il 13% in Gran Bretagna, il 18% in Svezia. Un mondo chiuso, in cui l’Unione Europea svanisce, lasciando Stati Uniti, Russia e Cina a farla da padroni, mentre i Paesi come il nostro sono irrilevanti.
È il modello da «piccolo mondo antico», un Paese con i negozi chiusi la domenica, dove le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano fanno di nuovo fatica a gestire i loro tempi: certo, nel «piccolo mondo antico» le donne non lavoravano. Un Paese con una linea aerea di nuovo di proprietà dello Stato e protetta dalla concorrenza, così che torneremo ai tempi quando volare da Bologna a Londra costava l’equivalente di 500 euro, tariffe che solo i ricchi potevano permettersi. Magari con una nuova lira svalutata, con la quale fuori d’Italia si riuscirà ad acquistare ben poco. Un Paese che anziché aiutare le aziende a crescere punisce quelle che cercano di diventare globali aprendo impianti in giro per il mondo. Un Paese che non riesce a capire che il lavoro si è trasformato e che penalizza la flessibilità con il risultato di distruggere posti di lavoro, spacciando per «dignità» disoccupazione e reddito di cittadinanza invece che cercare nuove forme di impiego che stiano al passo dei tempi. Un Paese che vuole mandare in pensione le persone a un’età che non tiene conto dell’allungamento della vita attesa, creando un peso fiscale sempre maggiore per i giovani di oggi e le generazioni future. Un Paese in cui di ricerca neppure si parla. Avete mai sentito il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, menzionare la ricerca come motore della crescita? Un Paese che ha paura di grandi investimenti in infrastrutture. Le infrastrutture non sono la panacea a cui inneggia incondizionatamente chi vuole sempre e comunque più spesa pubblica. Ma qualche nuova infrastruttura serve (ricordiamoci la Gronda di Genova): il «no» a tutto non ha senso. Un Paese che per incompetenza e arroganza di chi lo governa fa fallire una buona soluzione per l’Ilva di Taranto e rischia di lasciare a casa i sui 12 mila dipendenti.
Il Paese della «decrescita felice» quando invece è solo con la crescita che si possono migliorare le condizioni di chi non ha un reddito adeguato, soprattutto se alla crescita si accompagna un ripensamento del nostro sistema di welfare che oggi distribuisce molto male le risorse disponibili. Chissà se il ministro Di Maio ha mai letto la relazione della commissione Onofri che ventuno anni fa aveva tracciato le linee guida essenziali di una riforma del welfare. Ne dubitiamo.
Un Paese che vuole combattere l’evasione fiscale abbassando le imposte agli evasori e introducendo varie sanatorie, invece di ridurre la spesa pubblica per far pagare imposte il più basse possibili a tutti combattendo gli evasori con la «cattiveria» con cui invece tratta i profughi eritrei.
Un Paese che preferisce Stati illiberali come l’Ungheria di Orbán e la Russia di Putin alla Merkel e a Macron. Se dopo le elezioni europee della prossima primavera l’Unione si sgretolasse, come Di Maio e Salvini apertamente si augurano, ci avvicineremo inevitabilmente a quei Paesi dell’Est. Il ministro Savona già invoca Putin come il nostro salvatore nel caso ci fosse una crisi del debito. Abbiamo evitato l’Unione Sovietica ai tempi del Partito comunista negli anni 50, ora potremmo ritrovarci sotto l’influenza della sua discendente diretta, la Russia di Putin.
Tutto questo non serve, serve un governo che aiuta e smussa gli angoli, spinge e non ostacola, stimola e non soffoca, dialoga e non si scontra. Questo vorrebbe l’Italia che non si è arresa alla crisi e la cui economia si sta riprendendo a fatica.