Corriere della Sera, 25 agosto 2018
Federico Chiesa: «Io un top player? Esagerato»
«I giocatori sono di due categorie: quelli che rendono meglio se sono spensierati e quelli che per dare il cento per cento devono sempre stare sul pezzo. Io faccio parte della seconda». Federico Chiesa ha vent’anni, 63 partite appena in campionato (con 9 gol) ed è il leader della più giovane squadra della serie A. In due anni è passato dall’esordio allo Stadium contro la Juventus, a diventare il centro di gravità permanente della Fiorentina. Ma non è spaventato, né si è smarrito: «La prima regola è mantenere i piedi per terra». Testo e musica di papà Enrico, amico, suggeritore, procuratore. «Lui mi dice che il segreto è rimanere concentrato su quello che faccio: pensare a crescere in campo. E io gli do retta. Se sono arrivato sino qui il merito è della mia famiglia».
Che effetto le fa essere considerato quasi un top player?
«Piano con le parole. Sono contento di quanto fatto sino adesso, ma so di poter migliorare».
Intanto vale un mucchio di soldi. In estate la Fiorentina ha rifiutato proposte che si avvicinavano ai 70 milioni di euro.
«L’estate è stata serena. Non ci sono state ansie legate al mercato perché, d’intesa con la società, avevo deciso che sarei rimasto a Firenze. Per me è stata la scelta migliore. E sapere che valgo così tanto non mi toglie il sonno, né mi condiziona la vita: i prezzi negli ultimi anni sono andati alle stelle e io semplicemente cerco di non pensarci».
Il primo anno è stato quello dell’esordio, il secondo si è dovuto caricare la Fiorentina sulle spalle. Il terzo segnerà la sua definitiva consacrazione?
«Dobbiamo crescere insieme, io e la Fiorentina. L’anno scorso siamo arrivati ottavi, fuori dall’Europa per poco, quest’anno vorremmo migliorare nella consapevolezza che non sarà facile. Perché se ci siamo rafforzati noi, lo hanno fatto anche gli altri. Sarà più difficile».
Anche per Chiesa sarà più difficile?
«Si perché avrò addosso l’attenzione di tutti. Ci si aspetta molto da me e spero di essere pronto allo sfida. Devo segnare di più e fare più assist. Anche migliorare la fase difensiva. Pioli mi ha dato parecchi consigli e il 4-3-3 dovrebbe aiutarmi a rendere al cento per cento».
Il sistema di gioco dovrebbe favorirla anche in Nazionale.
«Intanto ringrazio Mancini perché a giugno mi ha permesso di misurarmi con i futuri campioni del mondo. Mbappè è un fenomeno. Lui sì che è un top player, uno da Pallone d’Oro. Ho letto che qualche suo collega l’ha paragonato a Pelè. Roba da brividi».
A proposito di Palloni d’Oro, l’Italia ha un Ronaldo in più.
«Ci ho giocato contro la scorsa estate a Madrid. Fa cose che noi possiamo soltanto immaginarci: un alieno. Cristiano aiuterà la Juventus a vincere, ma anche il calcio italiano a espandersi. Con lui e Ancelotti cresceremo in appeal».
Cosa le piace di CR7?
«La professionalità. Cura tutto e si allena tantissimo. Un esempio per noi giovani».
63 partite in serie A, l’obiettivo è arrivare in fretta a 100.
«L’obiettivo è giocare bene contro il Chievo. L’esordio stagionale, per tante ragioni, è sempre difficile. Bisogna rompere il ghiaccio. Per fortuna è venuto Andrea Della Valle a salutarci e incoraggiarci. Per noi è un punto di riferimento. Quanto alle partite, davvero sono già a 63? Io però resto fedele a quello che mi ha detto papà: si diventa calciatori solo dopo averne giocate 300 in A».
Il suo gemello Simeone, in una recente intervista sulla Gazzetta dello Sport, ha detto di non essere nato campione.
«Mi piace la filosofia di Giovanni. Significa lavorare duramente ogni giorno per fare un pezzettino di strada. Il talento non basta. Nessuno ce l’ha quanto Messi, ma non ha mai smesso di allenarlo».
Lo scudetto finirà ancora una volta alla Juventus?
«È la più forte e quindi la logica favorita. Però dietro sono migliorate tutte, soprattutto l’Inter e la Roma. Anche il Milan mi sembra cresciuto».
Ronaldo è la stella del campionato. Ma c’è un acquisto, fuori dalla Fiorentina, che la incuriosisce?
«Kluivert, che peraltro gioca più o meno nella mia stessa posizione. Già lo seguivo all’Ajax e mi ha colpito l’approccio quando è entrato contro il Torino. Segno di grande maturità».
Il tridente Chiesa-Simeone-Pjaca è intrigante.
«Intriga anche noi. Ci stiamo lavorando. Pjaca è arrivato da poco, è un classico attaccante esterno, che salta l’uomo e punta la porta. Sono felice di averlo in squadra».
300 partite per diventare un calciatore, ma tra il primo Chiesa e quello di oggi ci sarà un po’ di differenza?
«Dopo dieci impari a gestire l’ansia. Dopo trenta capisci meglio il gioco. Ecco perché dico che non si smette mai di imparare».
Lei è fiorentino d’adozione, ma è nato a Genova. Il crollo del Ponte Morandi immaginiamo sia stato più che uno choc.
«Mi chiedo come sia possibile che nel 2018 succedano tragedie così assurde. A Genova ci abitano i miei nonni, ci vado spesso, la città è forte e si rialzerà. Samp e Fiorentina hanno fatto bene a decidere di non giocare».
Come si pone un ragazzo di vent’anni di fronte al fenomeno dei social? Un’arma a doppio taglio?
«Un mezzo diretto per dialogare con i tifosi, ma a volte anche un problema perché c’è chi scrive cose sbagliate. Il rischio è che possano diventare una distrazione e complicare il tuo lavoro».
Ritorniamo alla Nazionale. I giovani saranno la risposta alla crisi e Chiesa sarà un protagonista?
«Mancini è bravo e credo ci siano tutti i presupposti per risalire la china e cancellare l’anno maledetto senza Mondiale. Ma per me l’azzurro è solo la conseguenza di quanto riuscirò a fare con la Fiorentina. Io sogno, ma a occhi sempre aperti».