Corriere della Sera, 25 agosto 2018
Addio a Rabolini, fondatore di Pomellato
Quando Pierre Cardin lanciò il prêt-à-porter nel 1966, Pino Rabolini si domandò perché non fosse possibile fare la stessa cosa nei gioielli. Seguiva la moda, vedeva il costume che cambiava. Si mise all’opera, fondando (1967) Pomellato, uno dei più importanti nomi della gioielleria. «Siamo partiti dalla catena, che abbiamo sviluppato in tutti i modi possibili —ha raccontato in una delle rarissime interviste—. Poi siamo passati a ciondoli pazzi: il re e l’orso, completamente snodati. L’ antitesi perfetta al gioiello importante, che si acquista per certificare ricchezza, potere, solidità sociale. Il fatto sorprendente è che sono piaciuti e l’ azienda ha cominciato a crescere». Nipote di un orafo di Gallarate (provincia di Varese) e figlio di un commerciante di oreficeria, Rabolini è scomparso ieri all’età di 82 anni dopo aver assicurato da tempo il futuro dell’azienda: dopo aver inutilmente cercato un accordo con nomi italiani, nel 2013 aveva ceduto Pomellato al gruppo francese Kering della famiglia Pinault (per una valutazione, si disse, attorno ai 350 milioni di euro). Non aveva continuità in famiglia, essendo il figlio Alessandro pittore e non interessato a succedergli. Uomo di grande cultura e visione, Rabolini era comunque convinto che le aziende non fossero proprietà privata di chi le aveva fondate e già nel 1994 aveva separato il suo ruolo di azionista da quello di gestione, affidando Pomellato ai manager (prima Francesco Minoli, poi Andrea Morante). Ceduta l’azienda Rabolini si era dedicato alla sua passione, l’arte, insieme al figlio, raccogliendo disegni di artisti italiani del Novecento. Non dimentico, però, dell’antica passione per la moda e il design aveva anche iniziato a reinvestire, insieme a Morante, parte di quanto incassato da Kering in partecipazioni e società del «made in Italy».