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 2018  agosto 25 Sabato calendario

Intervista al sociologo Marzio Barbagli

«Dati solidi» è una locuzione che ricorre con allegra ossessività sulle labbra del professor Marzio Barbagli. Da mezzo secolo li va scovando per spiegare i mutamenti nella popolazione, ma non gli piace essere definito sociologo, «semmai ricercatore di scienze sociali». Colpa del Sessantotto. «Allora confondevo la sociologia con il socialismo. Attratto dalla figura di Danilo Dolci, pensavo che servisse a cambiare in meglio il mondo».
Suo padre si chiamava Brasilino, perché era nato a Ribeirão Preto, 300 chilometri da San Paolo, figlio di un carpentiere emigrato laggiù. Morì a 43 anni, quando il piccolo Marzio ne aveva appena 5. Il resto è venuto da sé: il lavoro in banca per aiutare la madre vedova, la laurea in Scienze politiche a Firenze sudata studiando di notte, due anni d’insegnamento nella scuola media, infine l’ingresso nell’Istituto Carlo Cattaneo fondato dagli intellettuali del Mulino e la cattedra di sociologia all’Università di Bologna.
Barbagli ha compiuto 80 anni a giugno e ancora non s’è stufato di cercare dati solidi. «Sto lavorando a un’indagine che non finirò mai. Riguarda i mutamenti della morale sessuale in Occidente e la compravendita di prestazioni erotiche». In precedenza si è cimentato in corpose inchieste su criminalità, famiglia, divorzio, tossicodipendenza, omosessualità, suicidi, scuola, religione, immigrazione, sicurezza, politica, flussi elettorali. 
Dimentico qualche argomento? 
«Sì, l’ultimo: la morte. Da 30 anni l’Italia è il Paese occidentale con il minor numero di decessi in ospedale. La diminuzione si è fatta più netta a partire dal 2010, soprattutto al Nord, anche per effetto delle cure palliative a domicilio».
Nascono sempre meno bambini, siamo penultimi al mondo per tasso di natalità, davanti al Giappone. Che cosa ci è capitato?
«Quello che è capitato a tutto l’Occidente a partire dalla fine del Settecento. La crisi economica iniziata nel 2008 ha inasprito la situazione. Detto brutalmente, mettere al mondo figli comporta per i genitori più costi che benefici. Inoltre in Italia le donne lavorano più degli uomini, per cui cercano di evitare almeno il peso della maternità. Fa eccezione la Francia, che fin dall’Ottocento teme la perdita di popolazione, per cui investe molti denari in servizi a basso costo. Da noi è prevalsa l’insensibilità della sinistra, condizionata dal ricordo delle politiche demografiche mussoliniane. Se nel 1995 dicevi che avevamo un problema di nascite, ti davano del fascista».
Gli italiani autoctoni sono in via di estinzione?
«No. Ma la soglia di riproducibilità, che dovrebbe essere di 2,1 figli per donna, non garantisce il rimpiazzo dei deceduti: siamo fermi a 1,35».
Perché i matrimoni sono in calo?
«Ho cercato di spiegarlo fin dal 1990 nel saggio Provando e riprovando. L’aumento dei divorzi genera insicurezza, quindi si preferiscono le convivenze. Le donne rinviano per motivi di carriera. E sono cambiate le forme dei riti a causa della secolarizzazione, che penalizza uno dei sacramenti della Chiesa cattolica».
Lei teorizza che i single abbiano una vita sessuale più scialba dei coniugati.
«È così. L’età media del primo rapporto resta stabile da circa 80 anni. Tra il 1937 e il 1946 i maschi perdevano la verginità a 17,5 anni, oggi a 16,5. Le femmine a 19,5 anni, adesso anche loro a 16,5».
L’omosessualità è in aumento?
«Lievemente, a giudicare da quattro o cinque rilevazioni fatte negli Usa e in Australia. Le ricerche attendibili in materia costano molto. Ne ho condotta una finanziata dal Miur, con interviste faccia a faccia e questionari anonimi. I gay sono risultati un po’ meno del 3% della popolazione, includendo i bisessuali. Ma le certezze statistiche latitano. Confessare questa condizione prima di tutto a se stessi resta il passaggio più arduo».
Le prostitute hanno circa 9 milioni di clienti. Siamo nella media mondiale?
«Numeri del lotto. La domanda di sesso a pagamento è in diminuzione dagli inizi del secolo scorso».
Per la cocaina è il contrario, mi pare.
«Non esistono rilevazioni precedenti».
Però esistono i metaboliti urinari della coca rintracciati in Arno o nelle toilette della Camera.
«Di sicuro il consumo era molto alto all’Università di Bologna, come dimostrai nel 2008 con una ricerca che fu silenziata. Il 47% degli studenti aveva assunto droghe nell’ultimo anno. Una percentuale sottostimata».
Nel 2002 il 62% degli italiani riteneva sbagliato il suicidio, in Svezia solo il 29%. È cambiato qualcosa da allora?
«Radicalmente. Un tempo la Chiesa considerava il suicidio il peccato più grave, peggio dell’omicidio, perché non lascia a chi lo commette la possibilità di chiedere perdono a Dio. C’erano casi di persone depresse che giungevano ad ammazzare un bambino per avere la certezza di essere condannate a morte e potersi così pentire prima dell’esecuzione. Uccidersi era un danno anche per i padroni, che si vedevano sottrarre le braccia, tant’è che il potere processava i cadaveri e li impiccava in piazza».
Quindici anni fa in Italia ogni 11 ore e mezza una persona veniva uccisa intenzionalmente. Oggi?
«In fatto di omicidi volontari, viviamo il periodo più felice da cinque secoli a questa parte. Il decremento è fortissimo. Nel 1991 furono 1.916, l’anno scorso 355. I dati solidi dimostrano che non sono in crescita nemmeno i femminicidi, a dispetto di quello che si crede».
Lei denunciò in un libro che gli immigrati contribuivano in modo rilevante al numero dei reati.
«Sì. Essendo io di sinistra, i colleghi me ne dissero di tutti i colori. “È vero, ma non dovevi scriverlo”, mi biasimarono».
Ma senti.
«All’epoca ne soffrii molto. Purtroppo la politica influisce parecchio sulle scienze sociali. Eppure i dati solidi parlavano chiaro: nelle violenze carnali i clandestini erano il 62% del totale degli stranieri denunciati, nello spaccio di droga il 90%. Se penso che poi gli immigrati di seconda generazione hanno commesso attentati terroristici... Reati assai più gravi di furti, scippi e rapine, non crede?».
Perché la sinistra nega il fenomeno?
«Il tema della sicurezza non è nel suo genoma. Pensa che parlarne aumenti l’ostilità verso gli stranieri, già alta. Ma così facendo risulta poco credibile e perde le elezioni. La Lega dà soluzioni sbagliate a problemi esistenti, non è che li inventa. Il povero Matteo Renzi nei suoi tre anni da premier ha sempre scaricato le responsabilità sull’Europa».
Tuttavia lei resta di sinistra.
«Sto con il Pd, ohimè. Lo so che la cosa fa ridere. Da giovane ho votato per partiti dai nomi impronunciabili, tipo Psiup e Pdup. Non ne ho indovinata una».
Da bolognese scelse come sindaco Sergio Cofferati o Giorgio Guazzaloca?
«Cofferati. Ma stimavo Guazzaloca, persona brava e saggia, che questi sciocchini della sinistra attaccavano perché aveva solo la licenza media. Mi aprì gli archivi del Comune. E lì scoprii che il suo predecessore Walter Vitali, uomo di valore sacrificato ai conflitti interni dell’ex Pci, aveva sottovalutato le lettere dei cittadini che chiedevano più sicurezza. Bologna deteneva già allora il record dei borseggi in rapporto al numero di abitanti. Ogni tanto lo perde, poi lo riprende».
Come mai al Pd piace tanto l’immigrazione?
«Gli stranieri sono visti come il nuovo proletariato».
Anche come il nuovo elettorato?
«Quelli di sinistra sono incapaci di fare questi calcoli».
I flussi migratori sono gestibili?
«Con molta difficoltà. La Germania negli ultimi 30 anni se ne è servita per compensare il suo basso tasso di fecondità. Ora c’è una gara europea all’insegna del “pigliateli te!”. La Brexit è spiegabile solo in questa chiave: l’Inghilterra abbandona la Ue per difendersi. L’Italia è particolarmente disorganizzata. Le commissioni che devono distinguere i richiedenti asilo dagli immigrati economici c’impiegano un anno e mezzo prima di dare una risposta. Intanto abbondano gli africani in giro per le città a fare niente».
Ma a spaventarci non sarà la povertà più che l’immigrazione? Chi fermerebbe un’invasione di neri ad alto reddito?
«È vero. Non sono certo le differenze culturali o la poligamia a inquietarci, ma il timore che ci rubino la pappa».
La religione islamica soppianterà quella cattolica?
«Di sicuro i musulmani si convertono raramente. Ma si nota un lento abbandono della loro fede, dettato dalla fascinazione per i nostri costumi libertini».
Gli italiani sono razzisti?
«Se per razzismo s’intende la superiorità etnica, direi proprio di no, anzi eccedono nel sentimento opposto. Se s’intende l’avversione per gli stranieri, questa sta crescendo. D’altronde nelle città sono il 12-13%, si vedono. Ma si può integrarli. Gli Stati Uniti lo fanno dal 1875».
Che mestiere è il suo?
«Il sociologo è un demografo, un epidemiologo, un economista, un criminologo, uno psicologo e uno storico».
È riuscito a capire come mai in Svizzera funziona tutto a meraviglia – democrazia diretta, immigrazione, banche, perfino gli orologi – e in Italia quasi nulla?
«Lei esagera. Ma la risposta è no».