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 2018  agosto 25 Sabato calendario

Come si abbatte il ponte di Genova?

I tecnici riuniti giovedì sera per discutere della sorte del ponte Morandi hanno parlato di «collasso accompagnato», un’espressione che rende bene l’idea di quel che gli succederà: collassare, appunto, assistito nella caduta da cariche di dinamite.
Quelle cariche lo faranno atterrare dove e come stabiliranno gli esperti, anche su alcune case della zona rossa. Questo verso la parte est. Perché è probabile che le modalità di demolizione siano diverse da un punto all’altro, dato che è differente anche il modo in cui è stato costruito.
Per definire il piano di abbattimento che dovrà presentare entro la fine della settimana prossima, Autostrade ha chiesto aiuto ad alcune delle poche aziende specializzate italiane con esperienza nelle demolizioni di grandi opere civili. Le proposte di queste aziende arriveranno entro metà della prossima settimana, dopodiché gli ingegneri di Autostrade valuteranno da quale partire per mettere a punto le loro due-tre ipotesi di abbattimento.
Tutto è prematuro, quindi. Ma due cose sembrano ormai certe: l’utilizzo di esplosivi e il «sacrificio» delle palazzine sotto le parti da abbattere. Si parla di due-tre ipotesi ma in realtà una è al momento remotissima, e cioè l’idea di «smontare» parte del Morandi e consentire alle persone di recuperare i beni dalle loro case prima di abbattere il resto con gli esplosivi. Soluzione complicata, dai tempi troppo lunghi e senza garanzia che – smontata la parte scelta – non si comprometta la tenuta di tutto il resto. Le altre due possibilità si differenziano per estensione dell’intervento: abbattere assieme i piloni 10 e 11 oppure prima l’uno e poi l’altro. 
Esplosivo, dunque. Alla Tecnomine di Piacenza – una delle aziende interpellate da Autostrade che si occupa di esplosivi e che lavora in cordata con la General Smontaggi di Novara e la Deam ingegneria di Torino – stanno studiando come tirar giù il Morandi con poca dinamite, «meno di 200 chili» spiega il responsabile Beppe Zandonella. «Nella nostra proposta indicheremo il minimo sindacale di dinamite per metterlo a terra a pezzi, non per sbriciolarlo», dice, «anche perché questo è l’input che ci è arrivato». 
Sono stati i consulenti tecnici della Procura a dare quell’input: per tutelare il più possibile il materiale crollato che potrebbe diventare eventuale fonte di prova. A dire il vero – anche se Regione e Comune spingono per velocizzare i tempi – la Procura farebbe a meno di parlare di demolizione. Il procuratore Francesco Cozzi ripete che è pronto a firmare il dissequestro dell’area ma «soltanto se esiste un pericolo per l’incolumità pubblica» mentre l’esigenza di «realizzare un ponte per far passare sopra i veicoli» non prevale sulla salvaguardia delle prove. 
Che sia fra poche settimane o fra mesi, l’esplosione controllata, spiega Zandonella, «prevede che si facciano dei fori da mina in punti strategici nei quali introdurre l’esplosivo. Le cariche saranno piazzate alla base e in alto, con un cestello elevatore». La dinamite viene fatta esplodere in modo da creare una sequenza di rotture locali che avvengono a decimi di secondo l’una dall’altra e che «accompagnano» la caduta. 
Il Morandi è lungo più di un chilometro ed è diverso da una zona all’altra. Quindi non è escluso che per qualche tratto si pensi anche all’abbattimento meccanico con escavatori radiocomandati: agiscono alla base martellando il ponte finché viene giù, ma in questo caso non si può controllare la caduta. I tempi? La risposta è sempre vaga: «Mesi». Almeno due.