Libero, 25 agosto 2018
I romeni ci rubano i pesci
I romeni ci rubano il pesce. I corsi d’acqua dell’Italia settentrionale e centrale, fino alla Toscana, sono alla mercé di bande organizzate di pescatori di frodo che razziano con mezzi illegali le specie più facili da catturare, soprattutto carpe, lucci e siluri. L’armamentario che mettono in campo è da brividi: veleni, elettrostorditori e reti di ogni dimensione e foggia. Al calare delle tenebre le rive di fiumi e torrenti – dal Veneto fino alla Toscana – vengono letteralmente occupate da numerosi clan di bracconieri scacciati dal Danubio nel decennio scorso, quando il governo romeno mobilitò l’esercito per liberarsene. Ora agiscono nel nostro Paese. Il pescato, tranne poche eccezioni è di poco pregio ma alimenta comunque un mercato clandestino di tutto rispetto. In parte viene acquistato da ristoratori compiacenti, in parte va direttamente all’industria che produce i mangimi animali e che utilizza largamente la farina di pesce. Il teatro preferito dei pescatori di frodo romeni è il delta del Po, ma di recente sono stati individuati perfino nel Lambro, nelle zone a cavallo fra le province di Lodi e Mantova.
SPARITI 3 PESCI SU 10 Secondo uno studio redatto dell’Università di Ferrara, una delle province più colpite dal fenomeno, i danni alla fauna ittica nei corsi d’acqua finiti nel mirino dei bracconieri sono ingenti. In meno di un decennio hanno sterminato fra il 30 e il 40 per cento dei pesci. E la mattanza continua, tanto che per gli esperti c’è il rischio concreto che alcuni corsi d’acqua vengano desertificati. Oramai l’organizzazione funziona come un orologio svizzero. I pesci più piccoli e quelli meno pregiati vengono avviati all’utilizzo zootecnico. Gli altri, sfilettati e congelati sul posto, partono per la Romania a bordo di furgoni frigoriferi, la mattina dopo la cattura. Ad agire sono una trentina di clan, organizzati quasi militarmente e composti da 8, 10 persone ciascuno, capaci di guadagnare anche 20mila euro a settimana per ogni gruppo, lavorando qualche ora per notte.
CARABINIERI AGGREDITI Di recente i bracconieri hanno alzato il tiro. Dopo aver dissuaso i pescatori, forniti di regolare licenza, che frequentavano le sponde dei nostri fiumi, pescando le carpe alla luce delle pile, ora sfidano le forze dell’ordine. Qualche giorno prima di ferragosto una pattuglia di Carabinieri Forestali ha intercettato una banda di bracconieri sulle sponde del Reno, nei pressi di Anita, piccola località al confine tra le province di Ferrara e Ravenna. All’alt dei forestali, anziché bloccarsi i pescatori di frodo sono balzati a bordo di un gippone poi risultato rubato e hanno tentato di investire i militari. E a giugno sempre i Forestali hanno sequestrato oltre una tonnellata di pesce nelle province di Ferrara, Bologna, Rovigo, Padova, Venezia, Verona e Ravenna.
L’ALLARME DI CIOCCA A lanciare l’allarme è stato lo scorso anno l’europarlamentare della Lega Angelo Ciocca che ha istituito un numero verde a disposizione di chi volesse segnalare i casi di bracconaggio (800.82.12.13), pagandolo di persona. L’iniziativa ha funzionato. Dal mese di luglio dello scorso anno sono arrivate oltre 300 segnalazioni circostanziate e nel 70% dei casi riguardano persone provenienti dai Paesi dell’est Europa. Prevalentemente dalla Romania. È proprio grazie a queste comunicazioni che l’apparato di controllo si sta mobilitando. Dalla scorsa primavera, infatti, i Carabinieri Forestali e quel che resta delle Polizie provinciali, hanno intensificato l’azione di contrasto al bracconaggio ittico. «Un plauso a tutti gli operatori della acque interne e dei nostri fiumi», dice Ciocca a Libero, «che contribuiscono a salvaguardare una risorsa importante che deve essere rispettata e valorizzata. Quanti credono di poter venire nel nostro Paese e sfruttare le risorse naturali disponibili, fregandosene dell’ecosistema e dell’ambiente, meritano punizioni esemplari. I nostri fiumi e le persone che li tutelano hanno diritto a un rispetto diverso».