il Fatto Quotidiano, 25 agosto 2018
Dove è finita Lady Gaga?
Lo scorso aprile, mentre ringraziava via Twitter i suoi piccoli “Monsters” per la devozione dimostrata nel corso del tempo, non è neppure lei a credere che fossero passati dieci anni dall’uscita del singolo Just dance. Adesso, si compie una ricorrenza non solo sua, ma di tutta la scena musicale internazionale: i dieci anni dall’uscita del primo album, The Fame (19 agosto 2008). Una fino ad allora semi-sconosciuta Lady Gaga fece irruzione con un’infilata di singoli da far impallidire mezzo pop mondiale – in quel disco c’erano anche LoveGame, Paparazzi, Poker Face – dandogli uno scossone dal quale ancora deve riprendersi.
Stefani Joanne Angelina Germanotta (così all’anagrafe) è stata la sirena d’Ulisse delle classifiche e delle testate internazionali: sembrava essere uscita dall’anonimato – anche se già scriveva per gente come Fergie o Britney Spears – con l’unico scopo di non far capire più niente. Sconvolgente, sempre. Ogni apparizione era argomento d’analisi, ogni uscita pubblica un’occasione per discussioni sul look: si presenterà con le zeppe e inciamperà? Metterà un abito bianco che si sporcherà di sangue? Inghiottirà un crocefisso, vestita da suora? Articoli e libri, sin da quella che ancora viene definita la sua più importante esibizione, ai Video Music Awards del 2009. Quell’anno Beyoncé vinse con Single Ladies per il miglior video, ma fu Lady Gaga a lasciare tutti esterrefatti: una maschera a metà tra un Donnie Darko diamantato e una principessa burlesque, stesa a terra, intonò le prime battute di Poker Face.
Born This Way, del 2011, la sua consacrazione definitiva. Secondo i dati Billboard 2016, Germanotta ha venduto 27 milioni di dischi e 146 milioni di singoli. Si è portata a casa sei Grammy e un Golden Globe per una miniserie tv (sì, fa anche l’attrice). A più riprese veniva denunciata da suoi ex dipendenti di essere “un mostro” che non pagava gli straordinari e che teneva tutti in piedi la notte per capricci e manie. Per la cronaca, di queste bizze da star si trova traccia fino al 2014, quando pare che con una sua stretta collaboratrice abbia poi trovato un accordo extragiudiziale.
Nel culto dell’auto celebrazione non si è fatta mancare niente: dalle Gagamoji gli adesivi per le chat a sua immagine a Gagaville, la propria versione di Farmville, gioco per Facebook di Zynga. E ancora, le bambole in silicone ad altezza naturale. Le “Gagadoll” non sono state tuttavia messe in vendita: i proventi dei prototipi sono stati devoluti in beneficienza. Perché poi Gaga, indigesta quanto vuoi (non qui), ma sempre impegnata in prima linea con attività di filantropia e d’impegno sociale. I diritti Lgbt, in primis. All’uscita di quel disco, intervistata dal magazine Out, dichiarò di voler portare la cultura omosessuale nel mainstream. Ha sostenuto pubblicamente Obama e Hillary Clinton: “Qualcuno vuole vincere delle gare, qualcuno diventare presidente degli Stati Uniti”, ha risposto a Bbc Breakfast, dopo essere stata incalzata su Donald Trump e aver prima provato con un “Non ho niente da dire su di lui”. Le sue interviste intemperanti (“Questa domanda è ridicola” o “Sono una rockstar”) sono immortalate su YouTube. Ha rispedito al mittente, Zane Lowe di Beats 1 Radio, anche l’eterno paragone con Madonna: “Non voglio mancarle di rispetto è la più grande popstar di tutti i tempi, ma io suono un sacco di strumenti, scrivo la mia musica, ho la mia storia, che è solo mia”.
E di quella storia, adesso, che rimane? È ancora la Poker Face dalla risposta al vetriolo? Sembra di no. Con il suo ultimo Joanne, nome ripescato dall’anagrafe, ha provato a scarnificare tutto, andando all’osso, al ricordo di una bambina che sognava la musica. Che Lady Gaga in dieci anni non sarebbe rimasta uguale a se stessa lo aveva in qualche modo premesso e promesso. È che la capacità di cambiare faccia e influenze va bene fin quando si può abusare di aggettivi come “istrionico” e altri ritriti attributi. Poi succede che l’evoluzione diventa un prezzo da pagare, e che in molti restino un po’ interdetti. Se poi sei una donna, magari di quel cambiamento ti rimproverano anche qualcosa in più, forzando il giudizio al confine del body shaming. Dopo la difficile stagione di live interrotti dalla fibromialgia, tutti aspettano di vedere il remake di A star is born, di e con Bradley Cooper, il 31 agosto a Venezia e il 5 settembre nelle sale. Saranno di nuovo Paparazzi.