il Fatto Quotidiano, 25 agosto 2018
Calenda Granturismo
Inabissato da tre mesi nei fondali della politica dopo la felice mossa di entrare nel Pd mentre tutti fuggivano e dalla successiva minaccia di uscirne pure lui, Carlo Calenda rimette fuori il capino, annusa l’aria che tira, capisce che è il suo momento e si dice fra sè e sè: “Ora o mai più”. I congiunti tentano di dissuaderlo: “Carlo, lascia perdere la politica, per noi ricchi non è proprio aria, ricordati Montezemolo, Monti, Passera, Pisapia…. Hai presente la bella pompa di benzina che vendono a duecento metri da casa? Ecco, comprala, è un’attività ben avviata, a 45 anni è ora che ti faccia una posizione”. Ma lui niente: i ponti crollano, le autostrade fanno più morti dell’Isis, i Benetton incassano al casello e festeggiano a Cortina, l’Europa per combattere i populisti alla Salvini lavora per loro, presto -se tutto va bene – avremo una tempesta finanziaria, ma il governo guadagna consensi e l’opposizione fischi e pernacchie pure ai funerali (altrui). E tutto questo perché? Perché agli italiani manca tanto Calenda. Il quale, per colmare il vuoto politico-sentimentale, medita due iniziative clamorose: un “libro-manifesto” dal titolo avventuroso “Orizzonti selvaggi” (come se Bruno Vespa scrivesse “I diari della motocicletta”) e un “tour nell’Italia populista” (come se Vespa organizzasse un Camel Trophy). La prima la rivela lui a Repubblica, la seconda la tiene segreta, infatti la fa uscire sul Foglio. Dove si apprende pure che “il Cav. lo incoraggia”: e sono soddisfazioni.
Chi sta già prenotando il libro su Amazon o cercando i biglietti della tournée su Ticketone si dia una calmata: “Per ora -dice il Foglio- è un’ipotesi”, però “già esposta ai compagni di partito, o meglio compagni di fronte”. Poi Calenda passerà a esporla ai compagni di profilo e di nuca. E “anche – chissà – a quelli futuri, che oggi stanno in Forza Italia, ma alle Europee potrebbero ritrovarsi dallo stesso lato – quello antisovranista – della barricata”. Quindi, se tutto va bene, ci saranno anche i compagni forzisti, per un’“alleanza antisfascista” che deve “aprirsi subito alla società civile”. Roba forte. “L’idea è quella di lanciarsi definitivamente alla guida del ‘fronte repubblicano’ inaugurando una campagna itinerante a metà settembre”. Un tempo c’erano Castrocaro, il Festivalbar, il Cantagiro, il Giromike: ora c’è il Calenda Tour. L’ultimo peripatetico che ci provò con la politica itinerante, Renzi sul treno, collezionò tanti fischi e vaffa da non riaversene più. Ma Calenda punta tutto sul mimetismo: da quando hanno smesso di invitarlo nei talk show perché non saprebbero cosa chiedergli, nessuno sa più chi sia.
L’assenza di didascalia sulla pancia lo avvantaggia: diversamente da Renzi, ha buone probabilità di non essere riconosciuto. Se sbarcasse a Gioia Tauro, atterrasse a Orio al Serio, irrompesse nella piazza di Nepi e concionasse come Brian di Nazareth su un panchetto, a nessuno verrebbe il prurito alle mani che ci coglie quando vediamo Renzi in tv o sul set, la Boschi e Orfini in lista, Martina e Pinotti a un funerale. Lo guarderebbero tutti con curiosità, col sospetto di averlo già visto da qualche parte senza ricordare dove. Se poi sentissero del Fronte Repubblicano, si batterebbero una mano sulla fronte: “Ah ecco, questo dev’essere il pronipote di La Malfa. O il figlio di Spadolini: con quella panza…”. Ma non riuscirebbero a spiegarsi la ragione sociale del nuovo partito: “Vuoi vedere che ce l’ha con Emanuele Filiberto?”. E poi, diciamolo, questo manager prestato alla politica nella speranza che non lo restituisse, ha le idee chiare: il Pd – rivela ficcante a Repubblica – “deve ripartire da un progetto ideale solido e organico per i progressisti e dalle persone”. Solido e organico come i rifiuti della differenziata: niente umido. E coinvolgendo “le persone”: per animali, vegetali e minerali non c’è speranza. Certo, ci sono stati “errori”, ma “abbiamo governato bene”, anche se purtroppo la gente non se n’è accorta. Il guaio è che “abbiamo dato la sensazione di stare dalla parte dei vincenti, alienandoci un pezzo di Paese” (quello dei perdenti, che purtroppo sono la maggioranza).
Lui, per dire, stava alla Ferrari, poi a Confindustria, poi a Italia Futura con Montezemolo, poi con Monti, poi con Renzi, poi con Gentiloni, ha fatto una gara per l’Ilva che l’Avvocatura dello Stato giudica “illegittima ma valida” (ossimoro migliore dell’“obbligo flessibile” sui vaccini): chissà come sarà venuta, agli italiani, la strana “sensazione” di un Pd dalla parte dei vincenti. Boh, saranno le solite fake news di Putin. Lui, per dissipare la sensazione, parla con Paolo Romani (che “l’ha incontrato col beneplacito di Berlusconi”) e si appella agli “elettori moderati”, per “andare oltre il Pd”: cioè in FI. Nell’attesa, ha pronta la “nuova classe dirigente”: “Giovannini che tira le fila del mondo della sostenibilità” (qualunque cosa voglia dire), “Ermete Realacci” (così nuovo che sta in Parlamento da 17 anni), “il sindacalista Bentivogli, il sociologo Allievi”e soprattutto “Mauro Magatti a proposito di economia sociale”. Novità per novità, lancia anche un “governo-ombra”, da un’idea di Achille Occhetto del 1989 (c’era ancora il Pci e c’era già Realacci). La “società civile” ne sarà entusiasta. Basta tendere l’orecchio per strada o nei bar e sentire i vocii della gente: “Ehi Gino, sai mica che fine ha fatto Realacci?”. “Non parlarmene, Pippo, non ci dormo la notte. Ma ora il Calenda fa il governo-ombra con lui, Magatti, Allievi, Bentivogli e quello là, come si chiama, quello che tira le fila del mondo della sostenibilità…”. “Ma chi, Giovannini?”. “Proprio lui, ce l’avevo sulla punta della lingua”. “Ah meno male, mi hai levato un peso, ora mi sento già meglio… Gino, levami un’ultima curiosità: ma ‘sto Calenda chi cazzo è?”.