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 2018  agosto 25 Sabato calendario

Emma Thompson: «Una donna ha potere solo se fa la giudice»

Quasi 60 anni (ad aprile) e un’energia da vendere. Mattatrice nata, che siano i palcoscenici del West End, la tv o il cinema: due volte Premio Oscar, come miglior attrice per Casa Howard (1993) e come sceneggiatrice per Ragione e sentimento (1996). La londinese Emma Thompson, attrice, scrittrice, regista, femminista della prima ora, è una delle donne più amate e rispettate su entrambi i lati dell’oceano.
Dopo sei anni di matrimonio con l’attore e regista shakespeariano Kenneth Branagh, Emma è oggi felicemente sposata con il collega attore Greg Wise, e madre di Gaia, 15 anni, e del figlio adottivo Tindy, 27 anni, ex bambino soldato del Rwanda, oggi avvocato per i diritti umani. Abbiamo parlato con lei via Skype (lei a Londra, noi a Los Angeles) per il lancio di The children act, tratto dal romanzo di Ian McEwan e diretto da Richard Eyre. Nel film interpreta una giudice dell’Alta Corte britannica chiamata a decidere se ordinare una trasfusione di sangue per un minorenne malato di leucemia, nonostante il rifiuto della famiglia, che si oppone al trattamento medico per motivi religiosi (sono Testimoni di Geova). Mentre va in crisi il rapporto con il marito (Stanley Tucci), stanco di essere sempre ignorato dalla moglie.
«Facendo ricerche per il film ho incontrato molti giudici donna», racconta Thompson «sono veramente brave. Ti spezza il cuore realizzare quanto dolore, sofferenza e rabbia incontrino nell’esercizio del loro mestiere. E come debbano bilanciare tutte queste cose. Ti rendi conto che i giudici, con quelle loro toghe nere, hanno un potere straordinario, quasi fossero dei. E a pensarci bene, è difficile che le donne abbiano tanto potere altrove. Insomma, un personaggio davvero insolito e articolato da interpretare».
Cosa pensa del dilemma religione contro scienza?
«Personalmente ascolto il parere degli scienziati. Anche quando discutono con i religiosi per poi accorgersi di avere molto più in comune di quanto credano. Da atea, sono convinta che gli aspetti spirituali della vita siano importanti».
Atea da sempre?
«Non c’è religione che non abbia oppresso le donne nel corso della storia, presente incluso. È più complicata di così, ma in primo luogo sono femminista e credo nei diritti delle donne e nell’eguaglianza dei diritti. Quindi non posso simpatizzare con sistemi che regolarmente le opprimono, come fanno tutte le religioni del mondo».
Ha da poco interpretato Goneril nell’adattamento tv di “King Lear” con Anthony Hopkins. Che rapporto ha con la televisione?
«Confesso: a casa mia c’è una stanza esclusivamente dedicata alla televisione. Spesso navigo fra Netflix e Amazon per cercare film meritevoli. Quello che proprio non riesco a fare è seguire tutte le puntate di un’unica serie, dopo un po’ mi agito e devo smettere. Però ammetto di aver visto per intero le due prime stagioni di The Crown, una vera fissazione per noi britannici. Chiudo le tende per darmi la sensazione di essere al cinema. E metto il volume al massimo. Anche se è in parte dovuto al fatto che sto diventando sorda e vecchia!». (Ride).
Eppure lei è una di quelle attrici che, età o meno, lavora sempre. Ha combattuto per l’eguaglianza di genere nei salari e per la trasparenza fiscale nel cinema.
«Ang Lee ed io abbiamo fatto fare una verifica, convinti che il nostro Ragione e sentimento avesse fatto più soldi di quanto ci diceva lo studio, e infatti avevamo ragione. Ma abbiamo dovuto pagare profumatamente un commercialista per fare la verifica, il che è ovviamente ridicolo».
Avendo due ore di tempo a disposizione, quale film sceglierebbe di rivedere? Oppure che altro farebbe?
«Probabilmente farei un sonnellino! (ride). Purtroppo la maggior parte dei film durano più di due ore di questi tempi. Persino i film della Mavel durano tre ore e mezzo! Mah, forse se avessi due ore a disposizione leggerei».
Cosa?
«Tante cose diverse. In questo momento ho almeno cinque o sei libri aperti contemporaneamente. Adoro i romanzi storici e ho appena finito di leggere Phillipa Gregory che amo molto. Seguo Rebecca Solnit, che giudico una grande scrittrice femminista. A volte torno ai classici».
Che soluzione auspica al problema Brexit?
«Oh no (ride). Voi starete pensando che noi inglesi abbiamo perso la testa. Se ne parla ogni giorno e niente di quel che si sente fa ben sperare. Quando è successo ero straziata dal dolore: sono nata 14 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1959, e ricordo Londra e ricordo quel senso di perdita e trauma, e penso che l’Europa sia ancora traumatizzata da quelle due maledette guerre, e l’idea di spezzare un’unione di paesi che hanno sofferto così tanto mi rende molto triste. Ma ogni rapporto deve morire per rinascere, e così quando mi sento disperata mi conforto con questo pensiero».