la Repubblica, 25 agosto 2018
Il viaggio di Vauro e Riondino ad Hammamet
Caro Michele Serra, nel cordoglio comune per Vincino, un errata corrige al tuo articolo, compatto e incisivo come tuo solito. Riguarda il viaggio a Hammamet di Vincino ai tempi di Boxer: non ci andò. Da Craxi andammo io e Vauro. Vincino non aveva il passaporto e non poteva venire. Inizialmente dovevamo andare in tre, poi ci fu la questione del passaporto (con la consueta confusione che contraddistingueva il nostro, e anche noi). Il tutto prese il via da una sentenza che condannava Stefania Craxi a 500mila lire di multa per aver dato dello stronzo a Rutelli in pubblico. Stefania aveva redarguito il Rutelli per aver prima molto implorato il padre per averne favori all’alba, e poi averlo aggredito al tramonto. Ne deducemmo che la notizia fosse che con 500mila lire si poteva dare dello stronzo a Rutelli, e pareva una buona notizia. Allora Vauro chiamò Craxi a Hammamet per un commento, e già che c’era gli chiese un’intervista. L’esule disse di sì, e armammo il drappello. Io avrei procurato una videocamera. Prepararono dei regali: un Colosseo che a rovesciarlo scendeva la neve, e della terra di Roma in un sacchetto. Erano bei pensieri. Fu a quel punto che si scoprì che Vincino non aveva il passaporto, e partimmo solo in due. Pervenuti in terra Tunisina, scendemmo in un modesto albergo, comunicando il nostro arrivo. Poco dopo, l’esule giunse a salutarci, brevemente e cortesemente, per invitarci l’indomani a casa sua per parlare più a lungo. Leggermente claudicante per i noti acciacchi, accompagnato da un giovanotto silenzioso, accolse con una certa commozione i doni che Vauro portava: contemplò con benevola attenzione il Colosseo, e Vauro ne fece scender la neve; e accolse con rispetto la terra italiana. Fu una cerimonia breve e quasi solenne, vagamente militare. Poi Craxi se ne andò, alto e claudicante, dandoci appuntamento per il giorno dopo. La sera andammo al casinò: mostrai a Vauro come si faceva a giocare alla Roulette (lui non voleva giocare). Entrai disinvolto, in giacca, mi feci largo tra i pochi astanti, puntai deciso su tre numeri, con intelligentissime varianti (cavalli, manque, pieni) e persi subito tutto, al primo colpo. Ancora Vauro ne ride. Il giorno dopo tornò il giovane silenzioso e serio, con un’auto scura, e ci portò in una villa. Non era una villa sfarzosa, era una normale dimora di famiglia, grande ma certamente non faraonica. Bettino Craxi ci attendeva. Fu un incontro lieto, molto interessante. L’uomo, come è noto, aveva carisma, ed il contesto era certamente, nella sua stranezza, affettuoso. Ci fece accomodare e facemmo l’intervista, pubblicata su Boxer e che sarebbe lungo riportare qui; ci parlò di Sigonella, di Oltretevere, di geopolitica. Non riteneva che ci fosse nel Psi un numero di mele marce che eccedesse la media degli altri partiti, ed era propenso ad attribuire al contesto internazionale i suoi rovesci. Parlò anche di Garibaldi a Tunisi, e di sue ricerche a proposito; e infine ci regalò alcune stampe da lui realizzate: vecchie foto di Tunisi su cui aveva fatto interventi grafici, rielaborandole e firmandole. La telecamera nuova naturalmente non funzionò: l’intervista fu pubblicata, ed era una bella intervista. Ci lasciammo commossi e patriottici, come in genere si fa con gli esuli. Portammo poi a far commentare al critico d’arte Sgarbi le cartelle regalate dall’artista. Sgarbi ricevette me e Vauro nella sua sontuosa dimora in piazza Navona, popolata di famigli e ninfe, rinfrescata da cestelli di gelato offerti da discrete matrone. Il critico disse che nell’opera si riconosceva un tratto tipico dell’artista (a suo parere): il fatto era che si trattava di interventi su opere non sue, e quindi in sostanza di appropriazioni. Lo disse con un certo garbo, all’antica italiana, e pubblicammo anche la sua critica. Ecco la storia del viaggio ad Hammamet, nella sua interezza. Era, salvo errori. Il 1994. Caro David, sono contento che un mio veniale errore ( ero convinto che Vincino fosse riuscito a venire con voi in Tunisia) abbia generato questo tuo racconto. Certo ne abbiamo passate delle belle, in questo pittoresco, comico, tragico paese… (Michele Serra)