il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2018
Le canzoni più tristi di sempre secondo Spotify
“La prima volta che ho visto il tuo viso ho pensato che il sole sorgesse nei tuoi occhi. E la luna e le stelle erano i doni che hai dato al buio, e il cielo infinito. E la prima volta, mai ti ho baciato la bocca ho sentito la terra mi muovo tra le mani come il cuore tremante di un uccello prigioniero che era lì, al mio comando amore mio”. Il brano si intitola First Time Ever I Saw Your Face di Roberta Flack. La scena potrebbe essere quella di due innamorati che si scambiano effusioni sotto il sole primaverile, su un prato, giurandosi eterno amore. Secondo Spotify, invece, questa è la canzone più triste al mondo.
Ebbene sì, Spotify ha costruito un algoritmo che mira a valutare la quantità di tristezza in una traccia musicale. Il servizio di streaming ha raccolto metadati su ognuno dei 35 milioni di brani nel proprio database, che include un punteggio di valenza per ogni traccia che va da 0 a 1. Le valutazioni seguono parametri precisi: ci sono tracce con un suono ad alta valenza positiva, e tracce con bassa valenza, quindi dal suono negativo. Ci sono punteggi simili per altri parametri, tra cui l’energia (quanto è veloce o rumorosa una traccia) e la danceability, cioè la capacità di un brano di essere ballabile. I dati raccolti per elaborare l’algoritmo sono stati un regalo per tutti gli esperti di musica e per gli amanti del blue mood. Il primo aspetto curioso della faccenda è che per sviluppare l’algoritmo è stato usato il famoso “indice gloom” (altrimenti detto: “indice dell’oscurità”, intesa come oscurità dell’animo umano) – all’epoca teorizzato da Charlie Thompson – dei brani dei Radiohead, per rivelare, ad esempio, la canzone di Natale più deprimente. O per scoprire quali Paesi europei preferiscono le canzoni tristi. Ma come può un algoritmo percepire la differenza tra una canzone felice e una triste?
Miriam Quick, una giornalista esperta nell’uso degli algoritmi, ha testato i dati di Spotify, utilizzando alcune delle canzoni più popolari dell’ultimo mezzo secolo – più precisamente quelle presenti nella classifica Billboard dal 1958 al 2018 – e cioè un elenco di 1.080 tracce. Poi le ha abbinate ai dati della piattaforma di streaming. Altro aspetto curioso è che l’algoritmo non lavora tanto sui testi delle tracce quanto sulla loro melodia. E infatti ecco la falla del sistema: la canzone più triste che sia mai stata incisa – sempre secondo l’algoritmo – è First Time Ever I Saw Your Face di Roberta Flack, che fu al numero uno nelle classifiche per sei settimane nel 1972.
Non è una canzone triste, anzi. È una canzone tenera e piena d’amore, ma Spotify la classifica come “triste” a causa del ritmo lento. Al secondo posto, Three Times a Lady dei Commodores e pubblicata nel 1978. Anche questa è una ballata d’amore. Così come Mr Custer – brano di Larry Vane del 1960 e ritenuta dalla piattaforma la terza canzone più triste in assoluto – è una commedia su un soldato che non vuole combattere. Della cinquina “più deprimente di tutti i tempi” solo la traccia di Elvis Presley, Are you lonesome tonight?, e Still, altro brano dei Commodores, potrebbero essere davvero descritte come canzoni tristi.
L’algoritmo ha dunque una sua utilità relativa, ma non è ancora abbastanza efficiente. E questo perché sono i testi ad avere un vero impatto sull’umore di una canzone e i dati di Spotify sembrano non tenerne conto.
Il set di dati è stato sviluppato nel modo più affine possibile a quello di una mente umana. I dati possono trovare ciò che un umano non avrebbe mai il tempo di raccogliere, ma l’umano può esprimere giudizi soggettivi e culturali. E questo la macchina Spotify non può farlo.
Quando si ascolta una canzone, spesso si ricorda il posto in cui la si è sentita per la prima volta; o di chi si era in compagnia quando sono partite le prime note. Elementi che determineranno lo stato d’animo con il quale la si ascolterà in futuro. Diversamente, quando una macchina ascolta una canzone, ne trae solo una forma d’onda: non ha sentimenti ed emozioni, nostalgia e linguaggio, sogni e paure.