la Repubblica, 24 agosto 2018
Elogio di Eva Kant, eterna Donna Alfa
È feroce, è stupenda. Un incrocio fra Kim Novak e Grace Kelly, la Donna Bianca. Fredda, suadente, irresistibile. Quelle donne che fanno impazzire gli uomini (e le donne, certo) nel desiderio di espugnarle perché non sono di nessuno, non sai mai cosa pensano, non ti lasciano entrare nei sogni e forse mentono quando sorridono, e poi no invece ti tendono la mano e ti salvano la vita ma sempre resta il dubbio che spariscano, un giorno, senza lasciare nell’armadio neppure l’odore degli abiti. Incantevoli, gli abiti. Mai una maglia slabbrata nell’afa di agosto, mai un pigiama di felpa a gennaio. Quelle donne che hanno bisogno di te – credi – ma mai quanto tu hai bisogno del loro bisogno. Di sentirti utile alla guida, nella protezione, nell’insegnamento. Ti porto io, amore. Ci penso io. Non ti stancare. È una trappola, l’accudimento, nella quale non è mai chiaro fino in fondo chi tesse la tela. Chi resta preda di chi.
Difatti: «Il matrimonio è la cosa che meno desidero al mondo», dice Eva che ha imparato da bambina a difendersi. «Non ti fidare mai degli uomini. Mai. Soprattutto se dicono di amarti», sono le ultime parole di sua madre morente. E lei di sé, della sua stessa vita: «Tutto è servito a farmi più forte e più dura.» Criminale, per giunta. Capace di uccidere. Ma non per ripristinare la giustizia, per salvare qualcuno. No: per vendetta e per denaro. Ricorda qualcosa?
È passato quasi un secolo da quando è nata Angela Giussani (Milano, 1922), quasi sessant’anni da quando lei e sua sorella Luciana hanno messo al mondo Eva Kant: figlia di due madri. Era il 1962, sei anni prima del ’68. Le sorelle firmarono il fumetto con le sole iniziali dei nomi perché non sarebbe stata credibile – consigliarono loro – una storia criminale firmata da due donne.
Ancora oggi, nel fumetto e nella vita reale tutto attorno a noi, non esiste un altro esempio di Donna Alfa all’altezza di Eva. Autonoma, completamente indipendente: guida lei. Qui, nel passato che le danno finalmente Mario Gomboli e Tito Faraci, alcuni tasselli fondamentali della biografia già nota ai cultori diventano la storia di una donna capace di attingere forza da ogni sventura, sapienza da ogni errore. Per sommi capi: figlia illegittima di un nobiluomo, lord Rodolfo Kant, che non riconosce la figlia e “salda” la madre con un gioiello, il diamante rosa. La madre si ammazza. Lo zio Anthony, scespirianamente, uccide il fratello per salire sul trono di denari, chiude la nipote in un orfanotrofio e le ruba il gioiello. Lei fugge dall’istituto, va in Sudafrica. Reincontra Anthony che non la riconosce, adulta e bellissima, lo seduce, lo sposa: recupera il cognome e il gioiello.Di seguito rischia di rimanere vittima del marito che cerca di ucciderla, ma lo uccide lei: lascia che una pantera lo sbrani. Fin qui, dunque: abbandonata dal padre, orfana di madre suicida, scampata alla violenza di un marito che, sposato per calcolo, tenta di farne una sposa cadavere.
Ciascuno faccia i paragoni, in sedicesimo, con la sua stessa vita o con quella dei parenti e conoscenti. Con le cronache quotidiane. È a questo punto che entra in scena Diabolik: vuole rubarle il diamante rosa. Appena lo vede Eva lo riconosce: lo ri-conosce. Vede in lui se stessa. Lo ama e lo teme insieme, subito, e per averlo fa l’unica cosa possibile: finge la resa. Diabolik, che in un fumetto ordinario sarebbe l’uomo eroe – lei la fragile compagna devota, o la segretaria, o l’amante – non capisce subito chi ha di fronte. Diciamo pure che non lo capirà mai. Lei, per cominciare, lo salva dalla ghigliottina. È qui che entra in scena Eva, nel terzo numero: L’arresto di Diabolik, siamo nel 1963. Bisogna concentrarsi sul 1963, provare a ricordare quegli anni.
Documentarsi un poco, se nati dopo. Un’Eva inaudita prende in mano la situazione: porta fingendo di farsi portare, è arrendevole e implacabile, pensa sempre ad altro. La saga di Diabolik comincia qui: quando Eva si infila grazie a lui al processo dell’uomo amato e stabilisce un codice segreto con Diabolik, lo capisce. Esegue le sue consegne, lo salva e da questo momento – dunque – lo detiene. In quella prigionia d’amore che sappiamo, il mutuo bisogno. Diabolik, al suo cospetto, è un ingenuo – alla fine.
Persino quando molto tempo dopo lui cercherà di ucciderla (è così, accade: anche Diabolik cerca di ucciderla) sarà lei a menare la danza. «Perdonami Eva», chiede lui come fanno gli uomini dopo le botte. «Proverò» risponde lei. Non lo fa. Lo bacia, naturalmente, e si trasforma nella pantera. Solo così questa storia d’amore è possibile. Lui le dice: possiamo esserci utili a vicenda. Lei pensa: è vero, perché ho visto di cosa è capace e sono cambiata io. Sono cambiata io. Accetta le regole d’ingaggio. Simula quando deve, diffida quando serve, dirige il gioco sempre. Stanno insieme da sessant’anni, e lei davvero lo ama. Ma sta alla guida, sta all’erta. Non sai mai cosa devi aspettarti, nel prossimo numero. Grazie, ragazze Giussani. Il tempo è andato avanti ma anche molto indietro. Il tempo, d’altra parte, si sa, non esiste.
Meno male che c’è Eva che di cognome fa Kant, come il filosofo. Conoscere molto bene la vita, studiarla addirittura sui libri – pensate, studiare – è un’arma micidiale. Se poi ti piace il crimine è proprio indispensabile, e buon divertimento.