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 2018  agosto 24 Venerdì calendario

Il ’68, gli anni bui, la rinascita: la Mostra del Cinema raccontata dal presidente della Biennale Paolo Baratta

L’anniversario al Lido è importante, e il menu alla Mostra del cinema (tra attori e autori, sperimentazione e vetrina) è da chef stellato. Il presidente della Biennale Paolo Baratta dice che «è la 75ª Mostra, ma è anche l’8ª dal famoso 2010 in cui sembravamo al lumicino: il buco della nuova sala non costruita per l’amianto, i conflitti, l’aggressione del cinema americano e italiano. Non riuscivamo a riprendere quota. Oggi c’è fiducia, ci riconoscono qualità, rigore, il non cedere alle mode effimere».
La svolta come avvenne?
«Con l’adozione di un programma rivoluzionario, aperto ai nuovi generi, e col rifacimento integrale della struttura. Ora stiamo lavorando al Casinò, poi c’è l’incursione nel Des Bains, l’hotel parte integrante della storia del festival che ospiterà, grazie ai proprietari della Coima, a mostra dei 75 anni, a cura del nostro direttore Barbera».
Apertura simbolica...
«Ci vorranno due-tre anni per riaverlo completamente. La mostra sarà essenzialmente fotografica: 1480 immagini, 5 documentari, 6 filmati con sequenze di 120 film, da Dr Jekyll and Mr Hyde con cui nel ‘32 la Mostra si aprì, a The Shape of Water».
L’edizione al via?
«Noto una specie di controcanto con film che durano ben oltre le due ore. Mi pare interessante che nell’epoca della polverizzazione twittata e della frantumazione del pensiero, pensando che con una battuta si possa dire qualcosa di interessante, il cinema reagisca con film dove il tempo è importante per la rappresentazione di un’idea. È l’aspetto che più mi ha colpito, ed è un bel messaggio».
L’anno più bello?
«Ne indico due, il 1946, quando si chiese il permesso all’esercito inglese di fare una manifestazione di cinema a San Marco perché il Lido era inagibile, era l’anno di Paisà e Les Enfants du Paradis, c’era la volontà di ricominciare subito; e il‘47, quando arrivarono film da tutto il mondo».
Il ‘68 fu del tutto negativo per la Mostra...
«Direi di sì. Il concorso fu abolito per 10 anni, mentre i francesi furono più furbi: il black out durò uno solo, e nel ‘69 tornarono al cravattino come se niente fosse stato. Alla Biennale College abbiamo ragazzi che scrivono saggi sul cinema, soprattutto sulle fasi più oscure, come quella. Il ‘68 al Lido non terminò mai: pregiudizi sull’autorialità; doppiezze di ogni tipo; pretese di uguaglianza culturale e sui temi scelti. Si parlò del cinema italiano come di un genere».
Colpa della sinistra allora egemone nela cultura?
«Quando vedo conformismi non so se sono di destra o di sinistra. In fin dei conti le proteste erano ispirate al nazionalismo e al profondo rispetto della corporazione».
Che Italia ci sarà in gara?
«Martone, Guadagnino, Minervini sono autori liberi, nei temi e nello stile, svincolati da antiche adesioni a cliché di cinema con elementi quasi vernacolari».
Venezia da tre anni vince su Cannes, che ha il doppio dei fondi.
«22 contro 12 milioni, ma loro sono foraggiati dall’apparato del cinema francese non dallo Stato. Su Cannes grava l’intero peso dello Stato, della società e dell’organizzazione della civiltà francese: è la sua forza, talvolta la sua debolezza. Venezia dopo la riforma del ‘98 è autonoma, più nessuna ingerenza dalla politica. I partiti hanno capito che un’istituzione culturale libera serve meglio il Paese».
Quote rosa: il «suo» direttore Alberto Barbera dice che cambierebbe mestiere, se gli venissero imposte.
«Se Barbera si vincolasse a qualsiasi criterio che non fosse il valore artistico di un’opera, procederei io a licenziarlo. Da noi il 21 percento di film visti è di donne registe. Il problema esiste. Ma sarà una bellissima edizione».