Corriere della Sera, 24 agosto 2018
I ragazzi del terzo millennio sono maggioranza nel mondo
Hanno conosciuto solo il terzo millennio. E già l’anno prossimo (come passa il tempo), quando i primi diventeranno maggiorenni, saranno la generazione di maggioranza relativa: il 32% della popolazione globale (7,7 miliardi di abitanti) contro il 31,5% dei loro fratelli più grandi, i Millennial (venuti al mondo tra gli anni 80 e il 2000). Li hanno chiamati Generazione Z, come zero (ma anche iGen, Plurali, Nativi Digitali) e mentre si avvicinano alla maggiore età gli analisti di Bloomberg hanno provato a stilare il loro identikit aggiornato, per quanto possano essere simili la vita di un ragazzo nato in uno slum di Nairobi e quella di un coetaneo di Milano o Pechino.
Gli Zeta sono quelli nati dopo il 2000. Segni di riconoscimento: smartphone, Instagram (dagli slum ai quartieri ricchi), social a go-go. Psicologicamente vengono descritti come «realisti, innovativi e autonomi» rispetto ai Millennial che sono più «creativi, idealisti e dipendenti».
Le etichette vanno sempre strette, ma i tratti comuni agli Zeta si ritrovano negli studi di molti sociologi a cavallo dei continenti, dagli Stati Uniti alla Sud Corea. Sono nati/e intorno a Ground Zero (appunto) e al vuoto dell’11 settembre (la minaccia del terrorismo non è una sorpresa), hanno iniziato la scuola quando molti nonni e papà perdevano il lavoro con la grande crisi del 2008. Sono più morigerati e isolati dei fratelli maggiori, «meno auto-centrati» e «più consapevoli», si legge nelle ricerche di mercato che cercano di catturare i dati della nuova coorte di consumatori.
L’incertezza è una certezza. Una generazione meno (alcol, fumo, sesso) ma anche più (connessi, disincantati, indipendenti). Certo ci sono differenze geografiche significative: gli Zeta sono già da un pezzo la generazione di maggioranza relativa in tutta l’Africa subsahariana (un miliardo di persone, età media 19 anni), mentre nelle prime quattro economie mondiali (Usa, Cina, Giappone e Germania) prevalgono ancora i Millennial (100 di loro ogni 73 Zeta, più o meno come in Italia). Come guardano al futuro? Secondo i sondaggi di Deloitte Touche Tohmatsu, in Cina e India il 70% degli Zeta si vedono più felici dei loro genitori, mentre in Paesi come Gran Bretagna, Stati Uniti e Australia soltanto il 39% ha una visione così ottimistica.
Sono i teenager (quasi adulti) di oggi, quelli per cui in Gran Bretagna spariscono i pub a un ritmo di mille all’anno e pure i nightclub, perché i ragazzi bevono di meno e pensano di meno al sesso rispetto ai loro fratelli/genitori (nel 1991 in America il 54% dei giovani tra i 14 e i 18 anni aveva avuto esperienze sessuali, contro il 41% del 2015).
Nei Paesi Ocse la percentuale dei sedicenni che hanno provato a fumare è in discesa dal 1999. I ragazzi Zeta fanno meno a botte: in Inghilterra e Galles nel 2007 c’erano tremila minorenni condannati per violenza; nel 2016 sono scesi a mille. E pazienza se qualche studioso, come il professor Shoko Yoneyama dell’Università di Adelaide, la definisce «una generazione noiosa». Sono più «lenti», sostiene un rapporto dell’Economist: lenti anche nel guadagnare. Ma dalla loro parte hanno l’aumento delle aspettative di vita: vivranno tutti in media fino a 80 anni, perché affrettarsi a vivere?
Slow generation, connessione veloce. Cos’è cambiato? Il rapporto con la tecnologia, certo. Nei Paesi Ocse i quindicenni passano in media 146 minuti online (contro i 105 del 2012). Ma è cambiato, si è infittito, anche il rapporto con la famiglia. Nel 1965 in America il genitore medio passava 41 minuti al giorno coi figli. Negli ultimi anni il tempo insieme è più che raddoppiato. Se gli Zeta saranno quel che saranno, il merito (o la colpa) è un po’ dei loro «vecchi».