Corriere della Sera, 24 agosto 2018
I profughi eritrei e i guanti bianchi dimenticati
L’Europa sui migranti deve vergognarsi, vergognarsi, vergognarsi. Ciò detto e ripetuto: se l’88% degli africani a bordo della nave «Diciotti» sono eritrei in fuga da un regime tra i più repressivi del pianeta e in guerra da decenni, può Salvini sbarrare loro la porta? Disse: «I profughi veri van trattati coi guanti bianchi». Non si vede...
Era il 21 giugno scorso, quando il vicepremier leghista, in visita a Terni, disse quelle parole parlando «da ministro e da padre di famiglia». Spiegò che molti dei richiedenti asilo, a suo dire, imbrogliavano: «Solo 7 su 100 ne han diritto davvero» e al contrario di quanti «bivaccano in giro mentre gli paghiamo colazione, pranzo e cena», quei sette su cento «hanno in casa mia casa loro. Perché se scappano davvero dalla guerra vanno trattati con i guanti bianchi». Due mesi fa.
E non faceva una generosa regalia tra una fucilata e l’altra sugli immigrati. Glielo imponeva la legge. L’articolo 10 della Costituzione: «Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d’asilo». La convenzione di Ginevra del ‘51 da noi ratificata nel ‘54: ha diritto all’asilo chi scappa per il «giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni».
La stessa liceità o meno d’una politica muscolare sulla immigrazione che raccoglie di qua applausi e di là sgomento passa in secondo piano davanti al tema di oggi: i rifugiati hanno diritto o no a essere trattati non coi guanti bianchi, troppa grazia, ma secondo le regole della Carta? Perché nessuno, che si sappia, ha messo mai in discussione casi come quello degli eritrei. Non a caso riconosciuti come profughi, negli anni, con quote anche superiori al 90%. Soprattutto nei paesi nordici.
Certo, fece eccezione ad esempio Piergianni Prosperini, già assessore alla sicurezza della Lombardia a cavallo tra la Lega e la destra più rabbiosa, che si avventurò a definire «l’amico Isaias», cioè il dittatore Isaias Afewerki al potere dal ‘91 e presidente a vita dal ’93, «un uomo capace e sagace» che dominava l’Eritrea «con mano ferma e paterna». E sputò sui giovani in fuga: «Dove sono questi torturati? Ho girato il Paese in lungo e in largo ma non ho visto prigioni con torturati o torturanti». Macché torture: «Casomai li ammazzano: li butti in un formicaio e li troveremo fra duemila anni…» Tempo dopo, si sarebbe capito il motivo di tanta devozione: un traffico d’armi con Asmara che l’avrebbe portato a una condanna a quattro anni di galera.
Cosa sia l’Eritrea lo dicono l’implacabile rapporto della Commissione d’Inchiesta Onu (con 830 interviste e 160 deposizioni scritte) sulle torture più spaventose usate contro i prigionieri. E la scomparsa di giornalisti e oppositori inabissati nelle carceri. E le classifiche di Reporters Sans Frontieres che da anni vedono il paese africano contendere il 180° posto, quello dello Stato meno libero del creato, alla Corea del Nord.
E poi lo ricordano la chiusura dal 2006 dell’Università di Asmara, rimpiazzata da una specie di ateneo militare dove ogni refolo di aspirazione alla libertà didattica è stroncato all’istante. E l’abolizione della stampa, eccetto il quotidiano Haddas Ertra posseduto al 100% dal ministero dell’Informazione. E i libri di scuola che traboccano di peana al regime facendo tornare alla mente certi temini fascisti: «Il passo romano di parata / è un esempio di moto uniforme». E i rapporti di Amnesty International come l’ultimo, del febbraio scorso: «Sono in migliaia a tentare di fuggire per non subire l’oppressione del governo o per evitare la leva obbligatoria a tempo indeterminato». Tempo indeterminato. Va da sé che è possibile chiedere il passaporto (se te lo danno) non prima dei 40 anni per le donne e non prima dei 50 per l’uomo.
Tema: chi più degli eritrei (soprattutto quelli cristiani che più acutamente soffrono l’asfissia della dittatura nata marxista) ha diritto a chiedere (senza automatismi: chiedere) lo status di rifugiato in un paese come l’Italia che, stando alle ultime tabelle del Global Trends Unhcr, ha 2,76 profughi riconosciuti ogni 1.000 abitanti contro gli 11,5 della Svizzera, gli 11,7 della Germania, il 17,4 di Malta o i 23,7 della Svezia? E può bastare il sorprendente abbraccio di un mese fa fra Isaias Afewerki e il nuovo premier etiope Abiy Ahmed, figlio di un islamico e di una cristiana, a rassicurare gli eritrei sulla fine reale di una guerra un po’ rovente e un po’ fredda durata un’eternità?
Certo, gli stessi operatori umanitari e i diplomatici che operano in zona riconoscono che per i «tigrini» che vivevano in Etiopia non è stato difficile per anni spacciarsi per eritrei e godere d’un pregiudizio positivo. È successo. Non si sa in quanti casi, ma è successo. C’è un solo modo per scoprire chi fa il furbo: parlare con le persone, ascoltarle, farle interrogare da interpreti che conoscano la lingua, approfondire... Ma è difficile farlo, tenendo tutti al di là di una barriera.