Il Messaggero, 24 agosto 2018
Le memorie della figlia di Steve Jobs: «Fu duro e assente. Ma l’ho perdonato»
Un ricordo intimo, a tratti doloroso. La storia del rapporto difficile tra un padre e una figlia, raccontata da quest’ultima, a mente lucida e un po’ nostalgica, sette anni dopo la morte di lui. Un ricordo che sa tanto di resa dei conti ma soprattutto di perdono. Perché non deve essere facile venire a patti con il passato, quando quel padre si chiama Steve Jobs.
Sarà per questo che tra i fan (o sarebbe meglio dire tra i fedeli) del guru fondatore di Apple, c’è molta attesa per il libro di memorie di Lisa Brennan-Jobs, dal titolo Small fry, che uscirà negli Stati Uniti il 4 settembre.
Lisa, che oggi ha 40 anni, racconta così il lato più umano di Steve Jobs, con la sua arguzia e la sua genialità, ma soprattutto con tutti i suoi limiti. Quei limiti che Lisa conosceva bene, lei che inizialmente non era stata nemmeno riconosciuta come figlia, nonostante la prova del Dna. E se gli aspetti più duri della personalità di Jobs erano stati già raccontati diverse volte, il ritratto di Lisa (che negli Usa è stato in parte anticipato da New York Times e Vanity Fair) mette in luce dei dettagli inediti della sua vita privata. A cominciare dalla fine, dal calvario della sua malattia, da quel cancro al pancreas che se lo portò via il 5 ottobre 2011. «Aveva gambe e braccia sottili come quelle di una cavalletta», ricorda la donna, e «aveva accanto a lui un monaco buddista» che la invitava a toccargli i piedi per farlo sentire meglio. E ancora, Lisa spiega come avesse rinunciato all’idea di riconciliarsi con lui «come in un film», ma che ciononostante continuasse ad andarlo a trovare. «Tre mesi prima che morisse, avevo preso a rubare delle cose da casa sua: del dentifricio, due scodelle, delle lenzuola», come a voler sottolineare il bisogno di raccogliere il più possibile da un padre che fino a quel momento era stato tanto assente. Ed è qui l’essenza del libro di Lisa, oltre al suo lato più sorprendente: anche le apparenti crudeltà di Jobs nei suoi confronti vengono letti con positività. E non si capisce bene se per la volontà di esorcizzare i ricordi più dolorosi di una bambina che doveva elemosinare anche la buonanotte o se per una reale riconciliazione, avvenuta in un singolare alternarsi di inaspettati (e rari) momenti di tenerezza e feroci e ciniche prese di posizione. E così, quando il visionario Steve disse alla figlia che il nome Lisa per il computer della Apple non era stato scelto in suo onore, non voleva essere crudele, ma le stava solo insegnando a «non sfruttare la sua posizione» e i suoi successi. Allo stesso modo, quando si rifiutò di installare l’aria condizionata nella sua stanza, lo fece per trasmetterle un «sistema di valori». E così via. Il libro si chiude con un altro episodio. Una sera, quando ormai le sue condizioni di salute si erano aggravate, Jobs guardando Law and Order alla televisione aveva chiesto alla figlia: «Scriverai di me?». Lei aveva risposto no. Un no accolto con un «bene» per tornare a subito a guardare la tv. E se Lisa ha sicuramente perdonato Steve, chissà se Steve, in questo caso, avrebbe fatto altrettanto con Lisa.