Corriere della Sera, 23 agosto 2018
Marie-Jo, pazza di papà Simenon
Ci sono geni che hanno concentrato la propria creatività e il proprio ingegno nei pochissimi anni che hanno avuto in sorte, quasi bruciando le tappe per rimanere nella storia.
Il filosofo del liberalismo Piero Gobetti è morto a 24 anni, Giacomo Leopardi non è arrivato ai 40, van Gogh si è ucciso a 37 anni, idem Majakovskij, alla stessa età Arthur Rimbaud lasciò il mondo terreno per una gamba in cancrena. L’autrice di «Cime tempestose» Emily Brönte se ne andò a 30, e sua sorella Charlotte, che scrisse «Jane Eyre», non fece in tempo a compiere i 40, colpita, come Emily, da tubercolosi. La stessa malattia che fu fatale al quarantenne Kafka. E anche Edgar Allan Poe morì a 40 per una febbre misteriosa. Simone Weil, una delle menti più sconvolgenti e lucide del Novecento, morì a soli 34 anni in un sanatorio di Ashfort. Cesare Pavese ne aveva soltanto 41 quando all’Hotel Roma di Torino ingerì dieci bustine di sonnifero. Sylvia Plath non aveva trent’anni quando chiuse ermeticamente porta e finestre della cucina e infilò la testa dentro il forno. E naturalmente si potrebbe continuare.
Ma ci sono giovani donne che non sono state «fortunate» neanche postumamente. E se dopo la morte sono rimaste almeno un po’ vive nella memoria, lo sono state sempre mantenendosi in ombra. Magari all’ombra di un padre troppo ingombrante. Ingombrante al punto da darle il suo nome: stiamo parlando di Marie-Georges, detta Marie-Jo, figlia di Georges Simenon.
È nata il 23 febbraio 1953 dall’unione dello scrittore con Denise Ouimet, la segretaria dagli occhi neri, conosciuta a New York nel 1945, che sarebbe diventata sua (seconda) moglie e madre di due maschi e una femmina. Nel ’53 Simenon ha cinquant’anni, la moglie non ancora 30. Al ritorno in Europa, si stabiliscono a Epalinges in Svizzera, dove Denise è sempre più in preda a crisi depressive e persecutorie: i ricoveri in clinica si alternano con le burrasche coniugali complicate dalle eterne distrazioni sessuali di lui. Compresa quella che coinvolgerà di lì a poco la domestica friulana Teresa Sburelin.
Le «follie» di Denise trascinano nel baratro anche la figlia. Il biografo Stanley G. Eskin racconta che un giorno, in vacanza, Marie-Jo ha assistito a una scena di autoerotismo della madre e ne è rimasta sconvolta: l’incidente, inserito da Simenon nell’autobiografia, sarebbe poi stato espunto grazie al ricorso giudiziario di Denise.
La ragazza ha una devozione per il «grande vecchio Papà», a otto anni ha preteso la fede matrimoniale d’oro, l’ha avuta e la terrà per sempre al dito; lui la vezzeggia, le regala vestiti seduttivi, le insegna a nuotare e a ballare il valzer nei tè danzanti dei grandi alberghi. Non fa nulla perché la figlia sia diversa dalle amanti che gli stanno intorno in adorazione: spera che un giorno Marie-Jo diventi la sua collaboratrice e che magari in futuro cominci a scrivere come lui. Risultato: il complesso di Elettra è più che un sospetto, e la ragazza finisce in mano allo stesso dottore che cura la madre.
Il 9 settembre fugge a Parigi, si libera della presenza fisica del padre ma non della sua ossessione, si iscrive a un corso d’arte drammatica e aspira, senza successo, a diventare attrice. Scrive canzoni, poesie, appunti autobiografici e numerose lettere al genitore: «Tu, Papà, mio Signore e Padre».
Nel maggio 1976 una telefonata dall’ospedale parigino di Cochin annuncia al signor Simenon che la figlia è ricoverata lì in coma: ha ingoiato dei barbiturici.
Père Georges sale sul primo aereo e quando arriva al capezzale di Marie-Jo, vede due occhi che si schiudono e sente la sua voce: «Dad, sei venuto…, sei arrabbiato, Dad?... Volevo davvero, sai… questa volta era sul serio… Ma all’ultimo momento ho sentito il bisogno di chiamare aiuto… Tornerai a Losanna?». La risposta è: «Devo farlo, cara».
Nell’autobiografia che uscirà nell’81, dedicata a Marie-Jo e intitolata «Memorie intime», Simenon ricorda quella sera: «Il tuo sguardo è straziante, come l’espressione del tuo viso. Sei tutta amore e anche i miei occhi ne sono pieni». Lei gli rivelerà il suo sogno: «Ci arrampichiamo insieme sulla montagna e ci sdraiamo nell’erba, con la luna tra le mani».
L’ultimo regalo paterno è un appartamento sugli Champs-Élysées, l’ultimo incontro avviene a Epalinges, il 17 febbraio 1978, nella «piccola casa rosa» del padre. Cantano insieme «Le plat pays» di Jacques Brel. Nell’ultima lettera dice: «La cosa più straordinaria sarà stata di aver avuto un Daddy e poi un Dad, di aver amato “l’uomo”, da lontano, come un’amante, di aver letto quasi tutto Simenon con un nodo alla gola».
Il 20 maggio arriva una telefonata. È il figlio maggiore, Marc: il giorno prima Marie-Jo si è sparata un colpo di pistola calibro 22 dritto al cuore. Ha lasciato un biglietto con una richiesta: che le ceneri vengano disperse nel giardino della «casa rosa», sotto il cedro del Libano.