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 2018  agosto 22 Mercoledì calendario

ALT! CHI DICE CHE LE CONCESSIONI NON POSSONO ESSERE REVOCATE? PARLA UN SEGRETARIO COMUNALE ESPERTO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO, NORBERTO FRAGIACOMO: ‘LE REGOLE SULLE CONCESSIONI SONO OSCURE MA I PRINCIPI DELL’ORDINAMENTO SONO CHIARI. ALTRO CHE INDENNIZZO!” - LEGGETE IL SUO TESTO E CAPIRETE COME QUELLO SPARSO DAI BENETTON SUI ’20 MILIARDI DA INCASSARE’ SIA FUMO GIURIDICO… -



Concessioni autostradali: ridda di voci discordanti e contraddittorie, anche in seno al governo – semplicemente perché contraddittoria e raffazzonata risulta la disciplina applicabile.

Tocca andare a tentoni. Si tratta, anzitutto, di concessione di beni oppure di servizi? La questione non è di lana caprina, perché nel secondo caso trova applicazione la disciplina del Codice degli appalti (D. Lgs. 50/2016), nel primo invece no. Ora, le autostrade sono beni demaniali: un tanto fa propendere per la prima soluzione – dubitativamente, perché corriamo in una zona non meno grigia dell’asfalto stradale.

Ci trovassimo di fronte a una concessione di servizi la soluzione parrebbe chiara: il concedente – già in base alla disciplina previgente – dispone di strumenti di autotutela tanto esterni/pubblicistici (annullamento e revoca: giurisdizione al Giudice Amministrativo) quanto interni/privatistici (recesso e risoluzione per inadempimento: decide il Giudice Ordinario). I primi vengono attivati se i vizi – di legittimità o di merito – attengono alla gara a monte, i secondi si ricollegano a particolari situazioni a valle, coincidenti in genere con gravi inadempimenti contrattuali.

Ove vi fosse la ragionevole certezza di una negligenza del concessionario, quindi, nulla quaestio: il contratto (perché la c.d. concessione di servizi è un contratto assimilabile all’appalto pubblico, a sua volta una variante di quello civilistico) andrebbe risolto per inadempimento. Nessun indennizzo a favore del privato, anzi: risarcimento da corrispondersi al concedente (lo Stato)!

La concessione di beni è cosa un po’ diversa, perché la legislazione UE mai si è preoccupata di trasferirla dall’alveo pubblicistico tradizionale a quello privatistico. Secondo la dottrina tradizionale, la concessione-contratto ha una duplice anima: c’è quella autoritativo-pubblicistica, che si esprime nel provvedimento di concessione, e quella negoziale estrinsecantesi nel contratto accessivo ad oggetto pubblico.

Visto che – un po’ come in Aristotele – un’anima (quella autoritativa) è "gerarchicamente" superiore all’altra, sono le vicende della concessione a influenzare il destino del contratto, non viceversa. Ora, la concessione può essere revocata oppure decadere: la prima ipotesi si concretizza ove il concedente rivaluti le circostanze iniziali o prenda atto di fatti nuovi – e allora scatta l’obbligo di indennizzare il privato incolpevole –, la seconda, invece, ogniqualvolta il concessionario venga meno ai suoi obblighi.

Non vogliamo chiamarla risoluzione? Chiamiamola anche Asdrubale o verùl, ma resta nella sostanza una risoluzione per inadempimento, sorella gemella di quella regolamentata dal Codice civile. L’inadempienza esclude in radice qualsiasi indennizzo, ma non certo l’obbligo risarcitorio del concessionario nei confronti dei danneggiati, siano essi soggetti pubblici o privati.

Poi, per carità, il concessionario può impugnare qualsiasi decisione, ma un tanto non dovrebbe sbalordirci: questo diritto/facoltà è sancito dall’art. 24 della Costituzione, che non è proprio una normetta nascosta fra le righe dell’ultimo regolamento ministeriale.

A questa ricostruzione qualcuno potrebbe obiettare che la disciplina in materia di concessioni di beni pubblici è “frastagliata”, nel senso che la regolamentazione delle varie ipotesi è in qualche caso affidata a normative speciali. Questo può essere anche vero, ma un tanto non implica che questa o quella fattispecie si sottragga ai principi citati: può mutare il lessico, ma non la sostanza – per il semplice fatto che beni ed interesse sottostante alla concessione permangono pubblici, vale a dire “di tutti”.

Poniamo allora un’ipotesi limite (che ci auguriamo di cuore resti tale…): che ne sarebbe di un contratto accessivo che, in barba alle regole suesposte, regalasse al concessionario privato un commodus discessus in caso di colpevole inadempimento, riconoscendogli in sovrappiù un indennizzo?

Una prima risposta – forse incompleta, ma inequivocabile – ci viene dall’articolo 1229 del Codice civile, che dichiara radicalmente nulle le clausole di esonero di responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, cioè non lieve.

Anche se questa disposizione (e il successivo comma secondo, che espressamente estende la nullità alle clausole di “esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico”!) non ci fosse, tuttavia, le conclusioni cui pervenire sarebbero le medesime, dal momento che l’intero contratto o specifiche sue parti incorrono in un’insanabile nullità ove contraddicano a norme imperative.

Stessa identica sanzione se il negozio manca, in astratto o in concreto, di una ragione economico-sociale (la c.d. causa) oppure quest’ultima sia illecita, ad esempio perché contraria al c.d. ordine pubblico, concetto meno inafferrabile di quanto sembri perché ricollegabile a quelli che sono i fondamenti del vivere sociale.

Se poi a essere sacrificato all’interesse del privato fosse quello preminente della collettività e dietro tutto questo si rinvenisse una scelta consapevole… beh, vi sarebbero i chiari presupposti per l’avvio di cause non solamente civilistiche. Non parlo tanto dei profili penali (pur evidenti, almeno in via di ipotesi) quanto di quelli amministrativo-contabili: chi per la parte pubblica avesse sottoscritto o autorizzato la stipula di un contratto-capestro produttivo di un danno per l’erario andrebbe incontro a una responsabilità grande come… la reggia di Versailles, che non risparmierebbe alcun attore coinvolto, sia egli un politico ovvero un burocrate.

Intendiamoci: non sto dicendo che qualcuno nella vicenda autostrade abbia “fatto il furbo” (se si può adoperare un simile aggettivo…), anche perché non sono un magistrato e non dispongo della documentazione del caso; rilevo solamente che questo sproloquiare d’indennizzi sembra avvalorare il motto di un vecchio inserto satirico de Il Piccolo di Trieste: “mi digo che i scrivi ‘ste robe solo per insempiar la gente.”