La Stampa, 22 agosto 2018
Lula, il candidato impossibile, manda in tilt la corsa elettorale
Con il «candidato impossibile» che sbanca in tutti i sondaggi la corsa elettorale in Brasile è diventata la più imprevedibile degli ultimi vent’anni e i mercati, nell’incertezza, tremano. L’ex presidente Lula da Silva, oggi in carcere per scontare una condanna a 12 anni per corruzione e riciclaggio, è schizzato nell’ultima inchiesta pubblicata dalla società Ibope al 37% delle intenzioni di voto per le presidenziali del 7 ottobre. Dietro di lui c’è l’ultra conservatore Jair Bolsonaro con il 18% e poi tutti gli altri, tutti sotto il 10%. Lula, che è stato iscritto ufficialmente dal Partito dei Lavoratori (Pt), non può essere candidato perché la legge impedisce a chi è stato condannato in appello di aspirare ad una carica elettiva, al suo posto dovrebbe quindi subentrare l’ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad, accompagnato dalla comunista Manuela D’Avila. Non si esclude, quindi, un ballottaggio tra sinistra e estrema destra, uno scenario che spaventa molto i mercati; lo si è visto dall’impennata del dollaro, che ormai sfiora la soglia psicologica dei 4 reais. La «rinascita» del Pt sorprende gli analisti, soprattutto se si osserva lo scarsissimo appeal che sta dimostrando in questo momento il candidato di centrodestra Geraldo Alkmin, di gran lunga il preferito dell’establishment finanziario che vede invece con terrore l’outsider Bolsonaro, considerato una vera incognita per l’economia. Lula al centro della scena quindi pur essendo, di fatto, fuori dai giochi.
La grande domanda è se Haddad riuscirà a far confluire su di lui i voti degli aficionados del presidente più popolare della storia del Brasile. Nulla è scontato, già che nel più grande Paese sudamericano i consensi sono basati più sulla personalità dei candidati che su scelte di campo ideologiche o sui programmi di governo.
Il male minore
Destra e sinistra si mescolano, a livello locale e nazionale. Non ci sarebbe molto da stupirsi se una parte degli «orfani di Lula» sceglierà alla fine lo stesso Bolsonaro, ex capitano dell’esercito nostalgico della dittatura, omofobo e intollerante contro le minoranze. La situazione è talmente confusa che l’ex presidente Fernando Henrique Cardoso, storico avversario di Lula e del Pt, ha già detto che in un eventuale ballottaggio tra Haddad e Bolsonaro il centro-destra brasiliano dovrebbe appoggiare il primo, per evitare uno sbandamento istituzionale «pericoloso e autoritario». Manca ancora molto al 7 ottobre, ma c’è già chi pensa ad uno scenario simile al ballottaggio fra Le Pen e Chirac in Francia nel 2002, quando molti votarono per il «male minore». Il contesto economico, intanto, è negativo, con le previsioni di crescita del Pil dimezzate e la cifra record di 13 milioni di disoccupati e oltre 60 milioni di brasiliani nel registro dei debitori morosi. Il presidente Michel Temer, con una popolarità del 3%, non ha molto da offrire e tutti, ad iniziare proprio da Alckmin, cercano di evitare il suo appoggio.
La sorpresa Silva
Una possibile sorpresa potrebbe darla l’eterna outsider Marina Silva, che riappare dal nulla ogni quattro anni e che gioca sul fatto che né lei né il suo partito sono stati coinvolti in scandali di corruzione. Lula, essendo in carcere, non viene invitato ai dibattiti in televisione; una situazione criticata anche dal comitato per i diritti umani dell’Onu, che ha raccomandato al Brasile di fargli fare campagna. Al Pt qualcuno si chiede se non sarebbe ora di rompere gli indugi e lanciare Haddad, ma per ora preferiscono giocare sulla scommessa impossibile del «presidente operaio», l’unico politico al mondo capace di marcare da una cella il ritmo di un’elezione presidenziale.