La Stampa, 22 agosto 2018
Raffaele Cantone: «Affidare tutto ai privati non è democrazia»
Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione, c’è una lezione dalla tragedia di Genova?
«Il sistema Paese è inadeguato: nessuno controlla e ci si affida al fato, salvo scatenarsi, dopo una tragedia, in un’inammissibile fuga dalle responsabilità. È sconvolgente».
Serve un piano di manutenzione delle opere pubbliche?
«La manutenzione fa notizia solo dopo le tragedie. Passata l’emozione, si preferiscono i tagli di nastri».
Si dice: le responsabilità sono dei concessionari privati.
«Il tema è delicato e oggetto di indagini. Serve cautela e invece si danno per scontate cose che non lo sono».
Che cosa intende?
«Nel crollo ci sono responsabilità omissive. Chi aveva l’obbligo di intervenire per evitare l’evento? Il concessionario, certo. E nessun altro?».
Il ministero può chiamarsi fuori dalle responsabilità?
«Effettivamente gran parte dei poteri è stata delegata al concessionario, ma non vuol dire che l’autorità pubblica può disinteressarsi dei controlli».
Possibile che non ci sia certezza sulle competenze?
«La fuga dalle responsabilità è un classico italiano. Faccio un esempio: se affitto la mia casa a un inquilino che me la distrugge, intervengo per fermarlo o allargo le braccia? Lo Stato, non dimentichiamolo, resta proprietario delle infrastrutture anche se le dà in gestione. È inammissibile che abdichi alle sue responsabilità, delegando ai privati».
Che fare per il futuro?
«Servono regole chiare. L’ambiguità sulle competenze è disastrosa: tutti si sentono autorizzati a non fare niente».
Nella commissione ministeriale c’è un dirigente che aveva approvato il progetto per il viadotto e uno che aveva in passato lavorato per Autostrade: un problema?
«Se avremo segnalazioni, ce ne occuperemo. La questione è delicata, perché il conflitto di interessi può incidere sulla validità degli atti amministrativi. Oltre che dal punto di vista giuridico, va valutata sul piano dell’opportunità. Attiene all’imparzialità della pubblica amministrazione».
Condivide la scelta del governo di far decadere la concessione ad Autostrade?
«Non entro nel merito, la procedura è in corso. In astratto lo giudico il rimedio giuridico corretto in caso di clamoroso inadempimento e un segnale importante per i cittadini, se viene meno il rapporto fiduciario tra Stato e privati».
L’Autorità anticorruzione si occuperà della vicenda?
«Abbiamo già scritto ad Autostrade per chiedere conto dell’appalto sul viadotto: perché fu ritardato? Fa parte di una questione più generale: la disparità tra investimenti programmati e realizzati».
Sulle concessioni autostradali che posizione avete?
«Ce ne occupiamo da tempo, con rilievi critici. Avevamo contestato la proroga prevista nel decreto sblocca-Italia così come la riduzione (dal 40 al 20%) della quota di appalti da mettere a gara. Una linea pro concorrenza e trasparenza che fu osteggiata dai sindacati, con mio grande dispiacere, e sconfitta da un blitz notturno in Parlamento».
E su quella di Autostrade per l’Italia, nello specifico?
«Dopo una nostra richiesta, il ministero ha pubblicato la convenzione, ma senza gli allegati economici. Abbiamo scritto che sono parte essenziale, vanno pubblicati. Sebbene l’Anac sia l’autorità in materia, la burocrazia ministeriale ha prima chiesto alla stessa società Autostrade la sua posizione, poi un parere al Dipartimento della funzione pubblica. Risultato: sono ancora segreti».
Una segretezza sospetta?
«Domanda legittima, che io non posso permettermi. Voglio sperare di no. In genere, non oppone segreti chi non ha nulla da nascondere».
La sfiducia dei cittadini, manifestata dopo la tragedia, deriva anche da questo?
«Siamo un popolo che invoca trasparenza, purché comincino gli altri. Su questo si gioca la credibilità del patto Stato-cittadini. Si rischia una frattura democratica: se chi ha potere di fare pressioni conta più di decine di milioni di persone, la trasparenza diventa una parola vuota, ipocrita e beffarda».
A che punto è il vostro monitoraggio sulle concessioni, non solo autostradali?
«Incontra resistenze. Fatichiamo a ottenere le carte. Ma il quadro ci è chiaro: s’è stratificato un inaccettabile livello di appropriazione di beni pubblici. Un buco nero in un campo cruciale della vita democratica».
Perché «appropriazione»?
«Oggi si parla di autostrade, ma vale anche per altri settori cruciali: il privato concessionario fa quello che vuole, si comporta come fosse il proprietario e nessuno lo controlla».
Che pensa dell’idea di rinazionalizzare le autostrade?
«È una scelta politica che non mi compete. Faccio solo presente che un carrozzone in perdita è diventato, dopo la privatizzazione, una gallina dalle uova d’oro. Qualcosa non funziona, a cominciare dal fatto che finora non una sola concessione è stata messa a gara, alla faccia delle norme europee».
Su investimenti, manutenzioni, pedaggi avete poteri?
«Il codice dei contratti pubblici assegna all’Anac i controlli sul rispetto, da parte dei concessionari, delle quote di appalti da mettere a gara. Importante novità, non mi risulta che prima qualcuno controllasse».
Controlli già operativi?
«Scatteranno dopo il periodo di transizione stabilito per consentire a tutti di mettersi in regola. Sempre che il codice non sia spazzato via».
Perché dovrebbe?
«Monta una temperie revisionista, il codice degli appalti è sottoposto a un massacro gratuito, additato come causa di catastrofi economiche».
Chi la ispira e fomenta?
«Una parte della burocrazia in buona fede perché impreparata, una parte impaurita dalla responsabilità, una parte in malafede; una parte di imprenditoria in buona fede e un’altra che vuole approfittarne per tornare alla logica delle “mani libere”. Ovvero massimo ribasso, deroghe ed emergenze, concessioni senza controlli».
Il capo della Protezione civile ha chiesto una riforma del codice per consentire «interventi emergenziali».
«Incomprensibile: il codice li consente. A meno che non si abbia nostalgia del tempo in cui “tutto è emergenza”».
Anche il governo dice di voler cambiare il codice.
«Ha lanciato una consultazione online. Parteciperemo, sebbene non mi nasconda il rischio di una procedura in cui chiunque partecipa: esperti, addetti ai lavori, persino profili fake come nella natura della cosiddetta democrazia telematica. Speriamo poi di capire dove il governo intende andare».
Teme una controriforma?
«Governo e Parlamento sono sovrani entro le norme europee e le loro scelte vanno rispettate. Il timore è che si usino argomenti infondati per giustificare opzioni legittime, ma che richiederebbero un’assunzione di responsabilità».
Quali argomenti infondati?
«Resto perplesso da affermazioni generiche. “Il codice non funziona”. Ma ha 240 articoli, non funzionano tutti? “Il codice blocca gli appalti”. Falso: dalla banca dati dei contratti pubblici risulta una clamorosa crescita in tutti i settori».
Non condivide le istanze di semplificazione?
«E chi non le condivide? Ma la parola dice tutto e niente. Aspetto di capire. Si vogliono fare correzioni? Parliamone. Si vuole tornare al passato? Legittimo, ma si abbia il coraggio di rivendicarlo senza invocare informazioni false».
Anche lei si sente vittima di fake news?
«Diciamo, per ora, che sugli appalti circolano molte leggende metropolitane. Come quelle sui coccodrilli nelle fogne di New York».