il Fatto Quotidiano, 22 agosto 2018
I colori sbiaditi dei Benetton: maglie e finanza non tirano più
Una grande famiglia di imprenditori, mecenati, sponsor di squadre sportive e celebrati dai media. Una notorietà guadagnata anche grazie all’immagine anticonformista del marchio, costruita con campagne pubblicitarie che sui quei media riversano decine di milioni di euro l’anno. Ma la realtà industriale del gruppo Benetton da diversi anni è meno colorata e fantasiosa di quel che l’immagine suggerisce. Il business della maglieria e della moda low cost, che ha fatto la fortuna della famiglia negli anni 70 del secolo scorso, è diventata un’attività marginale, conta per il 5% del patrimonio (net asset value) del gruppo e, soprattutto, è in costante perdita. Gli affari che finanziano i fasti della famiglia trevigiana si fanno con le attività in concessione, dove non c’è concorrenza: autostrade e aeroporti.
Edizione holding. La società di famiglia che controlla tutto l’impero nel 2017 ha registrato 12 miliardi di ricavi consolidati. Quasi la metà (5,9) vengono dal comparto “Infrastrutture e servizi per la mobilità” (Autostrade per l’Italia, le autostrade gestite in Sudamerica, Aeroporti di Roma e i tre scali di Nizza, Cannes e Saint Tropez), che fa capo ad Atlantia, di cui Edizione possiede il 30,25% attraverso la sub holding Sintonia. Il settore “Ristorazione autostradale e aeroportuale” (Autogrill e gli altri marchi di ristorazione controllati), altro business semi protetto, fa il 41% dei ricavi: 4,9 miliardi di euro. Maglioni e negozi, in capo al Benetton Group, ancora controllato al 100%, conta per l’11% del fatturato (1,3 miliardi). Il settore immobiliare e quello agricolo (la tenuta agricola di Maccarese e quelle in Argentina, dove con 900 mila ettari Benetton è il primo proprietario terriero privato) contano per lo 0,4% degli affari: 53 milioni di euro in tutto.
Ma un quadro più chiaro del peso dei business protetti viene dall’analisi della redditività. Su 4,1 miliardi di margine operativo lordo dell’intero gruppo, quello generato dalla sola Atlantia è di 3,6 miliardi, l’88%. La marginalità lorda di Atlantia e pari al 61% del fatturato, una profittabilità da primato. Tolti ammortamenti, oneri finanziari e imposte, l’utile netto consolidato è di 1,4 miliardi.
Più risicati i margini della ristorazione: Autogrill, controllata al 50%, ha un ebitda di 399 milioni, l’8% del fatturato, un andamento in linea con la media del settore ristorazione, e che porta a un utile netto di 113 milioni.
Le attività storiche. A partire dal 2013 Benetton nell’abbigliamento ha invece inanellato una perdita via l’altra, con gli ultimi tre anni disastrosi: fatturato in calo e il rosso per l’azionista che è praticamente raddoppiata ogni anno. Nel 2015 la perdita operativa è stata di 19 milioni, e il risultato dopo le imposte negativo per 47 milioni; nel 2016 la perdita operativa di 38 e il risultato netto a meno 81, nel 2017, la perdita operativa di 144 milioni e quella netta a meno 181. Nel bilancio questo andamento è spiegato così: “Il settore sta affrontando una fase delicata di trasformazione ed evoluzione, quale risposta ai sostanziali cambiamenti nelle abitudini di consumo che si vanno affermando, anche a seguito della rivoluzione digitale in atto”. Più semplice sarebbe stato dire che, quando si guadagnano miliardi senza doversi confrontare col mercato, non vale la pena preoccuparsi troppo di un settore in cui competere è difficile, con la velocità e l’efficienza operativa che hanno fatto la fortuna di colossi come Zara e H&M.
Il grano di Maccarese. Ma c’è un altro business marginale, quello agricolo, dal quale il gruppo contava di estrarre un bel po’ di valore. Almeno fin quando non è crollato il ponte di Genova (Autostrade per l’Italia) ed è cambiato il vento sul tema concessioni. Da un decennio Aeroporti di Roma insiste per il raddoppio dello scalo di Fiumicino. Dei 1.300 ettari che dovrebbero essere occupati dalle nuove piste e terminal, 900 sono nella loro tenuta di Maccarese, 3.200 ettari di area protetta nel litorale romano. Se il raddoppio si facesse, dovrebbero essere espropriati dallo Stato e presumibilmente ben pagati, visto che si tratta di un’opera di interesse nazionale. L’operazione era già bloccata: il nuovo ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, appena insediato ha sospeso le nomine per la commissione Via (valutazione d’impatto ambientale) effettuate a febbraio dal suo predecessore Gianluca Galletti. Ora sembra ancora più difficile.
Partecipazioni. Nel dicembre 2017 il gruppo ha iniziato a investire nelle assicurazioni Generali, a un prezzo di 15,4 euro. A inizio aprile, col titolo che quotava sugli stessi livelli, ha informato la Consob di aver superato la soglia del 3% (3,05%). Generali quota ora 14,6 e la partecipazione vale circa 700 milioni. Anche se finora è un affare in perdita, si è investita un po’ di liquidità per mettere un piede nella partita finanziaria del controllo del colosso assicurativo triestino. Così come hanno fatto con la partecipazione in Mediobanca (2,1%, 161 milioni a corsi attuali), che di Generali è il primo azionista.