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 2018  agosto 22 Mercoledì calendario

Quando il buco diventa un’opera d’arte

Anish Kapoor, nonostante sia stato premiato alla Biennale di Venezia e le sue opere esposte nei più importanti musei del mondo ma anche a Milano, Roma e Napoli, fino all’altro ieri lo conoscevano in pochi. È bastato però l’incidente – per fortuna con un epilogo tutto sommato poco drammatico – per accendere i riflettori su di lui, scultore britannico nato a Bombay vincitore nel 1991 del Turner Prize che sviluppa il suo lavoro intorno alla luce e l’ombra, il negativo e il positivo, il maschile e femminile, materiale ed immateriale, pieno e vuoto, affrontando le dinamiche della percezione e il potere della metafora. Un turista italiano, credendo che una sua installazione esposta al Museo Serralves di Porto, in Portogallo, (insieme ad un’altra sessantina di opere realizzate durante gli ultimi 40 anni), fosse un’illusione ottica, è precipitato per due metri e mezzo finendo in ospedale. Il 59enne, benché ci fossero cartelli che lo spiegavano, quando si è trovato al cospetto della Discesa al Limbo si è avvicinato e perdendo l’equilibrio è precipitato: quello di Kapoor era davvero un pozzo nero. Il turista è stato prontamente portato in ospedale con alcune contusioni, ne avrà per qualche giorno. E mentre sui social si ironizza sull’imbarazzante performance dell’italiano c’è anche chi si chiede se un buco possa essere considerato un’opera d’arte.

LA RIVOLUZIONE
Un dibattito iniziato settant’anni fa e tutt’altro che esaurito. Pensiamo a Lucio Fontana e i suoi Buchi. Era il 1949 quando iniziò a forare le tele con l’obiettivo specifico di creare la terza dimensione su una superficie bidimensionale: vere e proprie aperture verso uno spazio ulteriore. «Questa è arte’», «lo saprebbe fare anche un bambino e lo vendono a milioni di euro»; «non significa niente»: molti sono stati, sono e saranno critici. Eppure quello di Fontana è probabilmente, il gesto più significativo dell’arte del ‘900. Quel gesto racchiude in sé una rivoluzione piena di significati artistici e intellettuali: lo spazio cessò di essere oggetto di rappresentazione secondo le regole convenzionali della prospettiva; la superficie stessa della tela, interrompendosi in rilievi e rientranze, entrò in rapporto diretto con lo spazio e la luce reali. Di altri ‘buchi’ è costellata la storia dell’arte contemporanea. Ancor prima di quelli di Fontana fece scandalo l’Orinatoio di Marcel Duchamp. Il dadaista nel 1917 trasformò un gabinetto in un’opera d’arte semplicemente ruotandolo di 90° e rendendolo di fatto inservibile all’uso per il quale è stato originariamente ideato. Ci mise poi la firma “R.Mutt 1917”, gli diede il titolo Fontaine e lo mostrò al consiglio della Society of Independent Artists che lo gettò senza pensarci troppo – come la maggior parte dei suoi ready-made – nella spazzatura. La rivoluzionaria invenzione di Duchamp però era destinata a travolgere l’arte, che da quel momento non si preoccupò più di mostrare l’abilità tecnica senza richiedere necessariamente ad una rappresentazione di essere immediatamente comprensibile. Da allora in poi le opere iniziarono a disorientare lo spettatore, ponendo domande senza offrire risposte: chi osserva ha bisogno di una mediazione, di una guida per comprendere l’idea che sta alla base di una creazione artistica. Ecco quindi la Merda d’Artista di Piero Manzoni il quale, nel ’61, prese una novantina di barattoli simili a quelli della carne in scatola, ai quali applicò la sua firma e la celeberrima scritta. L’intento, provocatorio e di chiara influenza duchampiana, era svelare le contraddizioni dell’arte contemporanea, che spesso premiava un’opera non per il valore in sé o per ciò che suscitava ma solamente per la popolarità dell’artista. Per associazione d’idee c’è Maurizio Cattelan che ha creato un irriverente wc a 18 carati esposto al Guggenheim di New York. E poi l’installazione di Oleg Kulik al Museo di Mosca: l’artista ha riprodotto tre grossi fondoschiena di mucca, spiando dai quali, attraverso schermi tv installati all’interno, il visitatore poteva seguire la proiezione di un film russo degli anni Trenta, Brain Mechanics (Meccanica del cervello), girato da Vsevolod Pudovkin. Buchi d’artista.