Il Sole 24 Ore, 22 agosto 2018
Wall Street, rivoluzione tech arriva un indice anti-shock
Oggi il mercato rialzista del Toro a Wall Street trainato dai titoli tecnologici diventa – stando ai metri popolari – il più longevo, 3.453 giorni. Ma ad avvicinarsi di soppiatto è un altro appuntamento, forse più significativo: il giorno del cambiamento per il settore hi-tech. Non parliamo di sommovimenti di mercato, ma d’una svolta all’apparenza tecnica. Il settore verrà presto «riclassificato». Viene tenuta a battesimo una nuova categoria – Communication services – popolata di nomi sottratti altrove, anzitutto da tech, media e consumi. Ma lo spostamento è assai più che tecnico: riflette allo stesso tempo lo straordinario rilievo conquistato in Borsa da colossi integrati della new economy tecnologica nelle varie forme – oltre un quarto, il 26%, dell’indice S&P 500, e il 22% dei rendimenti dell’intero bull market – e la preoccupazione per la sua esagerata influenza, i rischi che una tecno-dipendenza può comportare per l’intero mercato.
A testimoniare il significato di quanto è in programma – la riclassificazione è prevista il 21 settembre per l’S&P e poco dopo per gli indici Msci – è la rarità stessa di simili mosse. L’ultima risale al 1999. Ed è il fatto che il dibattito sul «dominio» hi-tech non finirà qui: già affiorano dubbi sulle scelte compiute da S&P Dow Jones, società che gestisce e calibra gli indici, se davvero ispireranno migliori equilibri. Tanto più che tutto accade mentre a Wall Street è più aperta che mai la discussione sulla leadership azionaria e sul futuro dei rally: ai tifosi, e sono tanti, si contrappongono gli scettici. Che spesso citano proprio l’ormai lunga e stretta corsa guidata dal tech: nove anni, cinque sotto le bandiere tecnologiche e in particolare di sempre più rarefatti protagonisti – cinque titoli, Amazon (+60% da inizio anno), Netflix, Apple, Alphabet, Microsoft e Facebook rappresentano quasi metà dei guadagni dell’S&P 500 nel 2018. La compagine di queste stelle ha mostrato segni di affaticamento in estate, con scivoloni all’indomani di trimestrali deludenti di gruppi come Facebook, Netfix, Twitter e tremori da correzione per i Fang e dintorni (cioè i principali titoli tech considerati ad alto potenziale). Nonostante Apple, re della market cap, abbia continuato a sorprendere diventando la prima società Usa da mille miliardi.
L’andamento contrastato ha nutrito gli interrogativi: se i grandi e popolari nomi del tech saranno in grado di guidare ancora un vecchio bull market a caccia di nuovi record negli indici, se potrà o dovrà scattare o meno una rotazione, una staffetta, e se sarà efficace o aumenteranno unicamente gli spettri di voltilità e cadute. A fine settembre, anche in risposta a simili tensioni accumulatesi nel tempo, vedrà la luce l’inedito settore Communication Services al posto dell’attuale Telecom. Sarà formato da 6 marchi prelevati dal pre-esistente comparto tech e da 23 nomi in arrivo dai consumi discrezionali. L’eredità tech avrà un peso del 57%, i titoli finora considerati dei consumi del 32%, le telecomunicazioni dell’11 per cento. Dai consumi arriveranno nomi dei mass media quali Disney, Comcast e Cbs. Soprattutto ci saranno però Netflix, Twitter e Alphabet e Facebook, questi ultimi due ben il 45% della neo-categoria.
L’idea – oltre a riflettere la convergenza media, tlc e tech; piattaforme di distribuzione e produzione di contenuto – è che l’assetto rivisto possa essere meno carico di marchi di facile «attrazione» e quindi meno prono a eccessi. Ma proprio l’esempio del peso di Alphabet e Facebook fa temere continue tensioni e evidenzia le sfide irrisolte nell’era dei super-gruppi tech, ovunque siano posizionati. La precedenti categorie appaiono, a conti fatti, semmai meno dipendenti da singoli nomi. Nel tech i due maggiori nomi, Apple e Microsoft, sono il 26,6 per cento. Un effetto concentrazione potrebbe esserci in categorie «saccheggiate»: i Consumer discretionary, dominati dal leader dell’e-commerce Amazon con il 23,7%, potrebbero veder accresciuto il suo ruolo.
Sul mercato e sull’avanguardia tech indipendentemente da riclassificazioni incombono inoltre – e soprattutto – le prospettive di utili e valutazioni elevate. I profitti tech sono attesi a aumenti dell’11% nel 2019 e il multiplo prezzi/utili dei prossimi dodici mesi è a 19, rispetto al 10% dell’intero S&P 500 con multipli di 16,7. Amazon vanta multipli di 85, seppur inferiori ai 115 degli ultimi tre anni. Facebook di 23, anche se meno del 50 in passato. E il Buffett Indicator sulle valutazioni – market cap totale quale percentuale del Pil, è oggi attorno a 140. Ai più prudenti segnala eccessi sopra il 100 per cento.