il Giornale, 22 agosto 2018
Quei gulag oscurati nel Museo di Stalin
Le purghe, le repressioni politiche e i gulag, stanno nel sottoscala. Siamo in Georgia, a Gori, nel «Joseph Stalin Museum», aperto nel 1957 a pochi anni dalla morte del dittatore (nato proprio qui nel 1878 e deceduto nel 1953). E al quale soltanto nel 2010 si è deciso di aggiungere, in un corridoio e una saletta al piano terra, ricavate sotto la gradinata che porta al primo piano, anche una breve parentesi che restituisce qualche cifra e qualche evento riguardante i gulag, le deportazioni e le purghe che colpirono gli avversari politici, le persone scomode o i comuni cittadini potenzialmente oppositori del regime del dittatore sovietico.
La ricostruzione di una tipica prigione nei gulag, fotografie e documenti con le didascalie scritte soltanto in cirillico e in georgiano. «Non sapevo niente di tutto ciò», dice allibita (più di me) una ragazza georgiana nata negli anni Ottanta, in visita al museo. Le chiedo in inglese di tradurmi almeno qualcuna di quelle didascalie inaccessibili. «Si parla di milioni di morti!», certo, senza specificare la cifra. Lei stessa taglia corto, non vuole restare troppo lì dentro, né tanto meno vuole coinvolgere me riguardo certi avvenimenti.
La guida ufficiale che il Museo mi aveva affidato, una signora sui 70 anni ben avviati con tanto di bacchetta per indicare le fotografie, prenotata mesi prima durante l’organizzazione del viaggio, si è ben guardata dall’accompagnarmi nel sottoscala, dichiarando la nostra visita conclusa dopo avermi mostrato le altre sale del museo e avermi poi condotta all’esterno, nel giardino dove si trovano il treno blindato con cui Stalin si spostava, essendo terrorizzato dall’aereo, e la sua isba originale, dove il dittatore è nato e ha vissuto i primi anni. Il vagone, 83 tonnellate di acciaio, è completo di studio, cucina, bagno con tanto di vasca, camera da letto per lui e per il cuoco e guardia del corpo, oltre a una sala riunioni. Lì vicino c’è anche la statua in pietra che ritrae il dittatore in piedi, alta sei metri (oggi oggetto di molti selfie da parte dei visitatori). Molti governi georgiani dopo la morte di Stalin avrebbero voluto abbatterla, ma i cittadini di Gori si sono sempre opposti e ora, invece che in una piazza della città, si trova nel giardino del museo.
«Molti sbagli ho fatto, e butteranno pattume sulla mia tomba. Ma poi la verità sul mio conto finalmente verrà detta, e il vento della Storia lo spazzerà via»: oltre alla guida del Museo, altri georgiani in viaggio mi hanno ripetuto come un mantra questa frase che Stalin avrebbe pronunciato nel 1947, e la recitano come per giustificare l’amore incondizionato che in molti ancora, nonostante tutto, provano per il dittatore.
La isba nativa di Stalin a Gori è una miserabile casupola a due stanzette con la calzoleria del padre Bessarione nel sottoscala, che oggi si presenta con attorno una cornice da tempio greco in pietra. Era fin dal principio proprio lì, in quello spazio. «Questa è rimasta, le altre case intorno che fine hanno fatto, dato che ora c’è museo?» chiedo alla guida. Silenzio, saluta e dichiara conclusa la visita. Del resto non potevo aspettarmi da lei spiegazioni complete e storicamente attendibili durante il tour, visto che, fin dai primi minuti trascorsi nelle sale di questo luogo della memoria mi aveva comunicato che c’era poco tempo a disposizione (stranamente, essendo stata la visita programmata da mesi...), il che non lasciava proprio spazio alle mie – troppe – domande.
Quindi, zittita, ascolto la lezione e visito sale che celebrano Stalin più che come «uomo d’acciaio» – questo il significato del soprannome di Iosef Vissarionovic Dugavili – come prete mancato, figlio di un calzolaio e di Katrina, una modesta casalinga: «Stalin – spiega animatamente la guida – veniva da una famiglia poverissima, a 8 anni la mamma riesce a mandarlo in seminario. Era molto intelligente. Così a 14 anni si trasferisce a Tbilisi, la capitale, sempre in seminario, dove scriveva anche poesie. Alcune le pubblicò – e ce le mostra in bacheca -, una anche per bambini. Sono sulla sua amata Georgia».
A 15 anni Josif abbraccia la teoria marxista, illustra la biografia ufficiosa testimoniata nel museo da documenti e foto, e divenne un rivoluzionario. «A una settimana dalla fine del seminario lo buttano fuori perché si era iscritto al partito comunista», commenta, ancora oggi dispiaciuta, la mia guida. Così inizia la vita laica del futuro Stalin: dà lezioni private per mantenersi, è con i contadini nei primi tentativi di insurrezione antizarista, e dai 22 anni fino al 1917 gira di carcere in carcere. «Lo imprigionavano ingiustamente, ma lui riusciva sempre a scappare! Per ben sei volte!». Erano anni molto intensi per il futuro dittatore: Stalin scriveva articoli per varie testate, teneva conferenze in varie città e paesi (presentandosi sempre con un nome diverso), a Tbilisi pubblicava anche un giornale clandestino, come spiega un modellino sotto vetro: si accedeva alla redazione dal pozzo di casa. Fino alla rivoluzione d’ottobre del 1917: scelto da Lenin come suo successore, nel 1924, alla sua morte Stalin diventa Segretario Generale del Partito Comunista.
La visita continua con una serie di memorabilia che celebrano la vita e le vittorie del dittatore, dall’eroica scelta di sacrificare suo figlio catturato dai tedeschi senza scendere a patti con i nemici – «perché ogni soldato era come fosse suo figlio, quindi non poteva sceglierne uno tra tutti da salvare» – alle pipe e alla colomba della Pace inviategli dalle lavoratrici italiane emigrate in Francia, fino al mausoleo, che racchiude la maschera mortuaria del dittatore adagiata in un baldacchino circondata da colonne.
«Nel 1953, a 75 anni, muore per un ictus. Forse lo hanno avvelenato», si lascia scappare la guida. La quale poi cambia discorso, ricordando quanto lui «ha fatto per la chiesa, che Lenin condannava ferocemente, mentre Stalin nel 1943 ha nominato un patriarca e così anche la Georgia ha potuto avere la sua chiesa autonoma». Delle purghe e dei gulag «Stalin non sapeva niente. Lui voleva solo segnalare pochi piccoli gruppi di potere come pericolosi per il regime, sono gli altri intorno a lui che hanno ucciso tante persone, ma senza che lui lo sapesse». Le chiedo quale sia, secondo lei, il merito principale di Stalin. «Senza di lui – risponde – tutta l’Europa sarebbe finita nelle mani dei nazisti. Grazie a lui abbiamo evitato una strage». E mi invita a uscire e ad andare verso il vagone del treno, saltando il sottoscala. Ci sono andata da sola, in un altro momento. Sperando che «il vento della storia» porti altre verità e approfondimenti sul dittatore, invece che spazzarli via.