Corriere della Sera, 22 agosto 2018
Zimerman: «Il mio amico Bernstein»
«Quando suonai la Seconda Sinfonia di Leonard Bernstein per la prima volta – racconta il grande pianista polacco Krystian Zimerman – erano morte mia nonna e subito dopo mia madre. Ecco perché questo pezzo è così importante per me. La mia vita cambiò completamente, diventai un’altra persona, non toccai il pianoforte per sei mesi. La coincidenza straordinaria è che Bernstein mi aveva scritto una lettera toccante per esprimermi il suo cordoglio: io ero giovane e non ancora noto, lui ignorava che avevo suonato la sua Sinfonia. In seguito, mentre eravamo in tournée con i Wiener, mi chiese: ma tu conosci la mia musica? Certo, ho suonato a memoria la tua Seconda Sinfonia. Non lo sapevo, rispose lui, e organizzò subito un nostro tour con questo brano. Poi concluse, scherzando col suo sorriso generoso: “Quando compirò cent’anni la suonerai ancora per me”. Bene, eccomi qui, ora che si celebra il centenario della nascita».
Due giorni fa infatti Zimerman l’ha portata in concerto con il direttore Simon Rattle al Festival di Salisburgo, e per Deutsche Grammophon è il cd che chiude l’era di Rattle con i Berliner Philharmoniker.
Scritta nel 1948, la Sinfonia, intitolata The Age of Anxiety, risente del clima post-guerra, ha una matrice letteraria dal poema di Auden e narra di quattro solitudini che si incontrano in un bar. L’«ansia» non è affidata a voci umane ma al pianoforte, strumento piuttosto inusuale in una Sinfonia. «La guerra distrusse tutta la cultura europea e riportò la storia indietro di anni. La gente era spaventata, ansiosa. Ma questa Sinfonia è più complessa di uno stato d’animo». Un pezzo controverso… «Ricevette molte critiche. Koussevitzky, che per primo la diresse, consigliò a Bernstein di cambiarlo».
Zimerman ha una anima meditativa, quasi ascetica, il contrario dell’esuberanza del suo amico Bernstein. Si lascia intervistare di rado, «non mi trovo interessante, ma considero un dovere parlare di Bernstein. L’anniversario può rimettere a posto tante cose». Si riferisce al cruccio di Bernstein, ammirato come direttore, ma come compositore non riusciva a avere la stessa considerazione: «Non gli perdonavano l’eclettismo e la versatilità, posso immaginare la sua sofferenza. Noi musicisti non dobbiamo seguire le mode. Bisogna capirci sul concetto di modernità. Bernstein non voleva essere moderno: voleva scrivere con onestà la sua musica».
Lei è stato influenzato da Bernstein come musicista? «Mi ha dato il coraggio di osare, senza i suoi consigli certe scelte interpretative non le avrei adottate. Mi ha insegnato la responsabilità civile per un artista, il suo impegno per i diritti delle persone discriminate era straordinario. Lo vedo come una figura rinascimentale alla Leonardo da Vinci. Dirigeva, componeva in perfetto equilibrio tra radici americane e Mitteleuropa, insegnava. Le sue lezioni in tv per giovanissimi talenti hanno fatto epoca. Mi spiace che la tv in Italia, Paese che amo e dove tornerò in gennaio per una serie di recital, non dia peso alla musica classica. Eppure tocco con mano che la gente la ama, in ogni piccola città trovi gruppi radunati negli Amici della musica che fanno un lavoro fantastico e si adoperano in tanti modi. Ricordo un episodio esilarante nel ’90 a Roma, una signora aveva la farmacia accanto al Teatro Olimpico, non era al concerto, raggiunse il palco e protestò per un’auto in seconda fila che non la faceva uscire. Io ero nel mezzo di Debussy, rimasi sconcertato, poi cominciai a capire cosa volesse». Il pianista senza scomporsi lesse un biglietto in italiano: «Il proprietario dell’auto targata Roma..». E al ricordo scoppia a ridere.
Zimerman, 61 anni, conobbe Bernstein nel 1976 assieme ad altri giovani talenti: «Io offrii la mia partecipazione a Les Noces di Stravinskij». Il quale non fu generoso col Bernstein compositore, lo chiamò supermarket della musica. «A me non piace catalogare, classificare. Leonard era imprevedibile, in questo mi ricorda Simon Rattle».