Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  agosto 22 Mercoledì calendario

Biografia di Dorothy Stratten

Era bellissima nel servizio di ottobre: i capelli biondi a incorniciarle il volto, lo sguardo dolce e malizioso insieme. Nessuno era riuscito a ritirare quegli scatti, la notizia della morte di Dorothy Stratten era arrivata quando il numero di Playboy era già in stampa. E adesso quella ragazza di appena 20 anni che doveva diventare la nuova Marilyn giaceva al Westwood Memorial Park, lo stesso cimitero dell’ineguagliabile diva, a poche lapidi di distanza.
La playmate della porta accanto Dorothy Hoogstraten nasce nel 1960 a Vancouver. I suoi genitori, immigrati dall’Olanda, si separano che lei è ancora una bambina. Cresciuta senza un modello maschile, Dorothy ha 17 anni quando entra nella sua vita Paul Snider. «Il magnaccia ebreo», come lo chiamano in giro, ne ha 26 e sbarca il lunario organizzando concorsi di miss maglietta bagnata ed esposizioni automobilistiche piene di donne «belle e disponibili anche nel dopolavoro». Camicia sbottonata fino all’ombelico, grosse catene d’oro, pantaloni a zampa, Paul mette gli occhi su Dorothy alla cassa del locale «Dairy Queen», una catena di fast food: incantato da quel viso da bambina su un corpo già da donna, non la lascia in pace finché non riesce a strapparle un appuntamento. La copre di regali, la accompagna al ballo di fine anno della scuola, si presenta a sua madre.
Dopo pochi mesi Snider riesce a convincere Dorothy a posare nuda per partecipare alle selezioni di Playboy. Le fa oltre duemila scatti, sessioni estenuanti cui la ragazza si sottopone sognando i mondi dorati che lui le fa intravvedere: copertine, soldi, «e fidati di me, vedrai che un giorno finirai a Hollywood». Paul il magnaccia ha visto giusto: Dorothy non è una qualunque aspirante modella di provincia. Nell’agosto del 1978 Stratten – così ha deciso di semplificarle il cognome – prende un volo di sola andata per Los Angeles.
La felicità è un attimoA Theresa Carpenter del Village Voice che va a trovarlo poche settimane dopo la morte di Dorothy – per scrivere un pezzo che le varrà il premio Pulitzer —, Hugh Hefner, il magnate di Playboy scomparso a 91 anni nel 2017, un’icona del kitsch americano con i suoi pigiami di seta e la sua mansion stracolma di ragazze, appare triste davvero: «Lo spettacolo incongruo di un sibarita in lutto».
È stato Hefner in persona ad accogliere Stratten al suo arrivo. In poco tempo le procura un permesso di lavoro, una casa, la assume come coniglietta al Playboy Club. Ad agosto del 1979 è la playmate del mese. Non riesce, però, a impedirle di sposare Paul, che ne gestisce i guadagni e – secondo Carpenter —, anche i turni in camera da letto. Snider però non gli piace, Hefner vorrebbe avere il «controllo esclusivo» sulla ragazza.
Nel giro di qualche mese la redazione di Playboy la sceglie come playmate dell’anno, celebrandola come «la divinità emergente della nuova decade». E Snider fa scrivere sulla targa della sua Mercedes nuova di zecca, comprata con i soldi della giovane moglie, proprio «Star 80» – che diventerà il titolo dell’ultimo, giustamente dimenticato film di Bob Fosse, dedicato a questa storia.
Eppure per Dorothy la realtà del sogno americano assomiglia già a un incubo: «A volte piango prima di addormentarmi – scrive sul suo diario – tanti uomini sono entrati nella mia vita all’improvviso. Nessuno è stato troppo insistente o ha usato la forza, ma anche i discorsi possono essere potenti, soprattutto per una ragazza disorientata».
Suo marito Paul però aveva visto giusto, e anche Hollywood si accorge presto di Dorothy. Esordisce in alcuni film di serie B: Skatetown Usa, Americathon, Galaxina. Ma una sera, a una festa da Hefner, incontra Peter Bogdanovich, il regista cinefilo che nel 1971 aveva folgorato gli spettatori con il suo film d’esordio, L’ultimo spettacolo, amico personale e biografo di due mostri sacri come John Ford e Orson Welles. Poche settimane dopo, Bogdanovich la scrittura per la commedia...E tutti risero, una deliziosa sberla al moralismo hollywoodiano in cui due investigatori privati finiscono per innamorarsi delle donne che dovrebbero sorvegliare: una è Audrey Hepburn, l’altra è Stratten.
Ironia della sorte, è a un investigatore privato che si rivolge Snider, convinto, a ragione, che Dorothy abbia una relazione con Bogdanovich: scopre così che la ragazza vive ormai al Plaza, nella suite del regista. Per Stratten il matrimonio è finito: lo scrive a Paul e, terminate le riprese a New York, si trasferisce nella villa di Bel Air con Peter.
Il 14 agosto del 1980 però lei accetta di incontrare il marito nella loro vecchia casa di West Los Angeles. Ha addosso un migliaio di dollari, forse intende darglieli per tenerlo buono. Ma i soldi stavolta non servono a nulla: i due saranno ritrovati morti prima di sera, i corpi nudi, i volti sfigurati da ferite di arma da fuoco. A sparare è stato il fucile calibro 12 che Snider aveva acquistato solo qualche giorno prima. Le sue mani sono coperte da troppo sangue e tessuti perché le impronte siano affidabili, così la polizia parla di «discutibile» omicidio-suicidio, ma lui ha tra le dita ciuffi dei capelli biondi di lei. Dal giorno in cui aveva parcheggiato la sua corvette nera nel parcheggio del fast food Dairy Queen sono passati solo tre anni.
Un film di cultoLa notizia arriva subito a Hefner, ed è lui a chiamare Bogdanovich: è l’ultima volta che si parlano. Nel 1984, ne L’uccisione dell’unicorno (che i Red Hot Chili Peppers citeranno nella hit Californication) il regista imputa la morte della donna di cui si era innamorato proprio a Hefner e alla cultura edonistica di Playboy, al «viscido ingranaggio professionale di quella fabbrica di sesso». È la cultura del possesso – scrive – che ha armato Snider, e la rivoluzione sessuale di cui Hefner si proclama condottiero,non fa altro che mortificare le donne: «Playboy trasforma ogni ragazza della porta accanto in una battona».
L’anno dopo Bogdanovich dichiara bancarotta. Per far uscire...E tutti risero, con i distributori che si tiravano indietro, aveva esaurito i suoi risparmi. Accolto senza entusiasmo, negli anni il film diventerà un cult, amato da registi come Quentin Tarantino e Wes Anderson. Bogdanovich fatica invece a rimettersi in sesto: «Girare con Dorothy è stato il momento più bello della mia vita, e tutto è stato distrutto insieme a lei, non mi interessava se avrei più fatto un film o no», racconterà molti anni più tardi in una intervista fiume a Vanity Fair.
Nell’89 l’annuncio del suo matrimonio con la sorella di Dorothy, Louise Stratten, desta grande scalpore. Lui ha 49 anni, lei venti. Divorziano nel 2001, ma restano amici. «Su di noi sono state scritte tante cose, ma eravamo insieme in un naufragio, e ci siamo salvati a vicenda». Oggi che il cinema è diventato ancora più piccolo, Peter Bogdanovich è conosciuto soprattutto per il suo ruolo di attore secondario nei Sopranos.