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 2018  agosto 21 Martedì calendario

La nuova Resistenza dei nipotini di Brecht

I nipotini di Brecht non hanno una vita facile, di questi tempi.Offese, scritte ingiuriose sulle mura dei teatri, politici dell’ultradestra che reclamano rimozioni, centinaia di mail gonfie di minacce. D’altronde, è da tanto che il teatro tedesco non è così vivo e reattivo come adesso. «Quando torneremo a sentire il grido di rivolta degli attori?», esclamava di recente la star dei registi tedeschi, Thomas Ostermeier. In realtà, il grido – a cominciare dal suo – si sente, eccome. Un clima di entusiasmo, che al vecchio Bertolt non sarebbe dispiaciuto, che ha indotto non pochi critici a parlare di una rinascita del teatro tedesco, quello che batte i pugni sul tavolo, quello che vuole gettarsi nella mischia dei grandi rivolgimenti che stanno scombussolando la Germania. I migranti, certo, e soprattutto la fulminea ascesa dell’Afd, il partito della destra populista: che poi si porta dietro un’infinità di altri questioni esistenziali per la patria di Goethe e di Mann, a cominciare dal rapporto con i fantasmi del Terzo Reich.
Il teatro Maxim Gorki di Berlino, per esempio. Con Alternative fuer Deutschland?, affronta sin dal titolo, e di petto, il partito degli ultradestri, uscito come terza forza politica dalle scorse elezioni, oggi valutato intorno al 17,5%. Tanto per capirsi, si cita esplicitamente Joseph Goebbels, il ministro della Propaganda di Hitler («non veniamo come amici… veniamo come nemici»), per aprire questa specie di satira feroce in cui s’impiegano attori-migranti, come d’abitudine al Gorki. Nel suo nuovo allestimento di Hamletmaschine di Heiner Müller, il teatro ha messo insieme un ensemble di attori provenienti dalla Siria, dalla Palestina e dall’Afghanistan, e fa nascere Amleto nella città siriana di Deir Ezzor. Un affronto, per l’Afd, i cui vertici hanno preteso di «prendere visione del contratto» della direttrice artistica del Gorki, Shermin Langhoff.
In pratica, la storia del teatro tedesco di questo scorcio di secolo è quella di uno scontro aperto con il populismo di destra.«Chiunque parli apertamente contro le ideologie di questa nuova destra viene colpito», dice Langhoff. Non che i nipotini di Brecht non vogliano farsi notare.
In FEAR, uno degli ultimi spettacoli di un altro teatro berlinese, Schaubühne, vengono proiettate delle gigantografie dei leader dell’Afd alternate a immagini di zombie carnivori. Per Beatrix von Storch, uno dei volti più noti dell’Afd, quello era «un incitamento alla violenza», e di conseguenza Ostermeier – che della Schaubühne è il direttore – è stato sommerso di insulti, sui social e non solo.
Il tema di come relazionarsi al passato nazista è uno dei più brucianti. Il caso da manuale è quello del leader dell’ultradestra in Turingia, Björn Höcke, quello che reclamava «una svolta a 180 gradi della cultura della memoria in Germania» prendendosela con il memoriale della Shoah della capitale, da lui definito «monumento della vergogna». C’è chi ha pensato di controbattere a Höcke in maniera fattiva: gli artisti performativi del “Centro per la bellezza politica” hanno realizzato una versione mignon del memoriale alla Shoah proprio davanti a casa sua, in Turingia.
Così, mentre da una parte si porta in scena tutto quello che mette in discussione le rombanti certezze della neo ultradestra – testi come Ritorno a Reims del filosofo omosessuale francese Didier Eribon, che narra di come immense fette della classe lavoratrice d’Oltralpe siano finite nelle mani di Le Pen, oppure un classico come Il Professor Bernhardi di Arthur Schnitzler, ispirato all’affaire Dreyfuss – dall’altra l’Afd contrattacca con altrettanta forza: la Schaubühne e similari, secondo Marc Jongen, considerato “il filosofo dell’Afd”, sono il prodotto «di una cultura che vive delle tasse dei contribuenti per fare campagna contro un partito eletto democraticamente», per «liquidare l’identità culturale tedesca», nientemeno.
Probabilmente ce l’ha anche con il Berliner Ensemble, fondato da Brecht medesimo, che nella stagione a venire programma spettacoli in cui si parla di #metoo, della reggia di Trump a Mar-a-Lago, di venditori d’armi tedeschi. E la battaglia non infuria solo a Berlino. In Sassonia-Anhalt, il deputato Afd Hans-Thomas Tillschneider ha reclamato il licenziamento del direttore artistico dell’Opera di Halle, Florian Lutz: «Bisogna servire l’educazione nazionale, basta con la propaganda dell’accoglienza».
In generale, la critica dell’Afd segue lo stesso schema: no al multiculturalismo, ai teatri si richiede «di tornare al canone tedesco». In particolare, viene indicato von Kleist e la sua Hermannsschlacht, che narra della battaglia in cui le legioni romane furono debellate dalle tribù germaniche.
Ma per il teatro il vero problema è che il centro del Paese ha sempre più opinioni di destra. Forse perché, come diceva Brecht nell’Opera da tre soldi: «Ragazzo mio, se mostri la tua vera miseria, nessuno ci crederà».