Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  agosto 21 Martedì calendario

Anche il Picasso si scolora, così l’arte diventa fragile

Tele che non reggono al tempo che passa. Opere d’arte fragili anche se recenti, anzi spesso fragili perché recenti. Capita che i restauratori si trovino davanti a colori che sbiadiscono progressivamente, pitture che colano dopo anni che il dipinto è stato terminato, patine di sporco che offuscano le brillantezze originali dei colori. C’è un’emergenza che riguarda l’arte moderna e contemporanea e i dipinti a olio in particolare: sono più esposti al degrado. Un gruppo di scienziati di vari centri di ricerca europei si è concentrato ad esaminare una settantina di opere di questo genere: dalla “Donna nuda su una poltrona rossa” di Pablo Picasso a quadri di Prunella Clough, Joan Mitchell, Ray Parker e altri, custoditi in musei importanti, dalla Tate Modern di Londra allo Stedelijk Museum di Amsterdam al Gemeentemuseum dell’Aia.
Obiettivo: aggiornare le tecniche di restauro, trovare le cure per tamponare le ferite degli anni che passano. «Quello che ci preoccupa – spiega Ilaria Bonaduce, del dipartimento di Chimica industriale dell’università di Pisa che ha lavorato alla ricerca coordinata dall’università di Amsterdam – è la sensibilità all’acqua e ai solventi in generale di certe pitture usate nei quadri a olio del Novecento e di fine Ottocento». Questa sensibilità all’acqua è un grosso problema dal momento che mette fuori gioco le tecniche di pulitura tradizionali e rende complesso intervenire sulla superficie di questi dipinti. «Il male oscuro che li colpisce è legato all’evoluzione delle tecniche pittoriche in combinazione con altri fattori. La scelta, per esempio, di molti artisti di non stendere vernici sopra i dipinti per poter giocare sulle opacità o l’assenza di una cornice che potregga il dipinto dal deposito dello sporco», nota la ricercatrice. Quello che emerge è che l’uso di pitture industriali, negli anni in cui pure la chimica faceva grandi passi avanti, e in qualche caso l’impiego da parte degli artisti di materiali scadenti, ha reso quelle opere più esposte all’instabilità. Dallo studio, “Cleaning of modern paints”, emerge che i problemi di conservazione dei dipinti a olio contemporanei sarebbero legati sopratutto all’impiego da parte degli artisti delle pitture commerciali, in tubetto e più economiche, ma altamente instabili, che i pittori cominciano a utilizzare da fine Ottocento. Colori prodotti industrialmente e non più frutto dell’abilità di pittori e artigiani che mescolavano i pigmenti nei loro studi, anche col rischio di esporsi a componenti tossiche come il piombo.
In certi casi gli artisti impiegano prodotti di scarsa qualità e il tempo mette a nudo le conseguenze. «Una di queste – riprende Ilaria Bonaduce che ha lavorato alla comprensione dei meccanismi molecolari alla base di questi fenomeni di degrado assieme a un gruppo di chimici pisani – è che i rischi associati ai trattamenti attuali di pulizia superficiale a olio sono molto alti e potrebbero condurre a danni irreversibili delle opere».
Ma se i sistemi comuni utilizzati per la rimozione dello sporco dalla superficie sono fuori gioco perché utilizzano l’acqua, come si può intervenire? I ricercatori di questo team europeo (finanziati in parte dai vari ministeri dell’Istruzione e della Ricerca, fra cui il Miur) hanno individuato procedure nuove di pulitura con l’impiego di gel, microemulsioni e acque modificate nel pH e nella forza ionica, in modo da ridurre al minimo i rischi. Tuttavia il paradosso resta: è più facile proteggere un quadro antico rispetto a un olio moderno.