La Stampa, 21 agosto 2018
Angelo Branduardi: «Le mie radici profonde nell’hit parade medievale che ha fatto nascere la cultura europea»
Camminando camminando, titolo di un suo album dal vivo del 1996, per Angelo Branduardi è ora un programma di vita (artistica). Chiaro che, camminando camminando, gli capiti di frequentare spesso luoghi impervi e stimolanti come l’Alta Irpinia, dove è domani allo Sponz Fest organizzato da Vinicio Capossela, o Coumboscuro, frazione di Monterosso Grana (Cuneo), dove domenica suona per il Roumiage de setembre, festa che celebra l’antica unità culturale e linguistica transfrontaliera del popolo occitano.A Calitri il concerto sarà diviso in due parti: «Nella prima suonerò con un gruppo di musica antica diretto da Giovannangelo De Gennaro, poi proseguirò in duo, in una parte molto rarefatta, con Fabio Valdemarin, con cui smonto i brani che eseguiamo dal vivo alla ricerca del nucleo essenziale e li rimonto con nuove soluzioni. Naturalmente non mancheranno i miei pezzi più conosciuti: se non li faccio, la gente si arrabbia... A Comboscouro partirò dai brani ispirati al passato in lingua provenzale, quella hit parade del Medioevo che chi sarà al Roumiage conosce benissimo e che è il punto di partenza degli otto album che ho registrato per il progetto Futuro antico. Poi, come sempre, mi adeguerò alla reazione che avrò: se percepirò la voglia di una dimensione più mistica, ci sarà pane per i mie denti, se invece prevarrà la voglia di festa, andremo in quella direzione». Come faccia a scegliere l’una o l’altra strada, è un mistero che non svela: «Eh – sorride – è questo il dono degli artisti. Sentire quale sia il percorso più giusto, la risposta di chi hai di fronte: la fase ispirativa è meno evidente ma assomiglia molto a quella creativa».
Il libro di Montserrat
L’incontro con la musica provenzale ha segnato la sua storia di musicista in maniera decisiva. «Ho seguito i corsi “normali” del Conservatorio, che almeno a quei tempi non andavano più indietro del primo barocco. Poi, un po’ per caso, ho scoperto una versione particolare di A l’entrada del temps clar, ballata trovadorica anonima del XI o XII secolo in cui si canta e si balla per festeggiare l’arrivo della primavera. Così ho iniziato ad appassionarmi molto a quelle che J.R.R. Tolkien definirebbe “radici profonde” della nostra cultura, quelle che non gelano. Da lì è partito il viaggio di Futuro antico, che tra 1996 e 2014 ha dato vita a otto album, con brani ispirati ad altre tradizioni antiche. Ma tutto nasce dal provenzale, dal Llibre Vermell de Montserrat conservato appunto nel monastero di Montserrat, vicino a Barcellona. È la chiara affermazione di una forma culturale che è quella europea. Per me è stata una scoperta personale fortissima, progressioni strane che a volte suonano diavolesche, ritmi, sincopi. La musica nasce legata alla religione, poi nel suo sviluppo dà una rappresentazione profonda dello spirito europeo».
Cellule melodiche
La musica antica, composta in Europa tra Medioevo e Rinascimento, che Angelo Branduardi, soprattutto tra gli Anni 70 e 80 seppe portare dentro le canzoni e ottenere così successi anche popolari, forse pop, davvero incredibili (La pulce d’acqua fu tra gli album più venduti in Italia nel 1978). Anche se lui, alla parola «pop» non si mostra troppo convinto: «Non è giusto parlare di canzoni – precisa – ma di cellule melodiche, delle quali i vari trovatori si appropriavano, scrivendo parole diverse. La mia è solo un’altra versione di queste cellule. Non si tratta di essere fedeli a una tradizione, non la vivo in questo modo: faccio questa musica perché mi piace, perché suona bene. E non sono un ricercatore, non sono uno studioso, infatti negli album di Futuro antico c’è una studiosa vera, Francesca Torelli, che funge da direttrice. E poi questa è musica particolarmente adatta alla mia voce».
Angelo Branduardi è nato a Cuggiono, nell’Alto Milanese, ed è cresciuto a Genova: tra i suoi ricordi di scolaro, la posa della prima pietra per la costruzione del Ponte Morandi («Anch’io sventolavo il tricolore»). E anche l’alluvione del Bisagno che sommerse il cimitero di Staglieno, con le bare che galleggiavano sulle acque: «Genova è una città costruita senza regole in un territorio non semplice, purtroppo è facile che venga colpita da questi tracolli drammatici. Da genovese, mi fa un effetto terribile, soffro e mi addoloro, non potendo fare altro».