La Stampa, 21 agosto 2018
Sospesi nel vuoto a caccia di micro crepe. Così i detective dei ponti salvano vite
Prima di salire sul braccio meccanico che li porta a osservare il «cuore» del ponte per vedere se è in salute, c’è un lungo lavoro di studio. Parte dalle carte il mestiere dei detective dei ponti, architetti e ingegneri che - grazie alle loro perizie - salvano vite umane.
Tutto ha inizio in ufficio, al banco. Prima si studia la storia dell’opera - progetti, disegni, documenti - poi, una volta raccolti i dati sul campo, si torna in ufficio, a indagarne il futuro, monitorando ogni millimetrico spostamento. Quando si parte in esplorazione, due sono gli aspetti che i detective cercano come fili d’oro: micro-crepe e macchie di ruggine. Sono quelli gli indicatori principali che qualcosa non va.
«Di rado riceviamo una telefonata per un ponte che dà pensieri. Allora ci precipitiamo, ma il più delle volte si parte dallo studio». Paolo Napoli, ordinario di Tecnica delle costruzioni al Politecnico di Torino con esperienza di cantieri come il terremoto dell’Aquila o il Passante Ferroviario di Torino, si occupa anche di ponti con il suo socio Giuseppe Mancini, anche lui docente al Politecnico. Sono stati chiamati a Genova. «Siamo consulenti per il crollo di Autostrade per l’Italia - dice Mancini -. Esamineremo le macerie, per quel che si può, e raccoglieremo dati per la perizia». Ma Napoli e Mancini si stanno occupando anche della ricognizione dei viadotti della Torino-Savona, una delle autostrade più vecchie d’Italia, che non nasconde gli acciacchi. Un lavoro non certo comodo.
Sospesi nel vuoto
Se soffrite di vertigini, meglio lasciar perdere. Si sta sospesi per ore, su una passerella ballerina, con sotto i piedi anche cento metri di vuoto. Si parte all’alba, per perlustrare ogni centimetro, aguzzando la vista in cerca di magagne quasi invisibili a occhio nudo. I droni, che il Comune di Torino vorrebbe impiegare per la manutenzione delle infrastrutture, per ora non hanno soppiantato questo lavoro in parte artigianale.
La piattaforma mobile si chiama «by-bridge». È una gru che si piazza sulla corsia più a destra, senza interrompere il traffico. Una situazione che desta qualche legittima preoccupazione in chi sta lavorando. Due, massimo tre persone salgono all’interno di una navicella di vetro. Poi via al «lancio», al di là del parapetto. «Se si torna al pomeriggio, visto che si continua a dondolare, meglio essere a digiuno».
Per misurare e vedere meglio le fessure, spesso nell’ordine di millimetri, si usano lenti. Si segnano con la matita, per riconoscerle. Poi si fotografano. «Sono un campanello d’allarme: significano che il calcestruzzo sta andando in trazione».
I rischi
I documenti, però, restano la base di partenza, sebbene non siano sempre affidabili. Basta che una ditta faccia una variante e dimentichi di registrarla nel progetto e si perdono dati fondamentali. E non solo quelli. Salerno-Reggio Calabria, anno 2015. Si sta demolendo una campata del Viadotto Italia secondo i disegni di progetto, ma un crollo imprevisto uccide un operaio. Napoli è stato consulente nel processo: «Il tracciato reale dei cavi era diverso da quello nel progetto. Ecco la ragione del crollo».
Lavorare sul campo, tuttavia, è necessario. «In Italia non si può fare la radiografia dei ponti, le radiazioni sono troppo alte per la nostra legge - racconta Mancini -. Usiamo tecniche magnetiche e ultrasuoni per ovviare al problema». Ma ci sono altri sistemi. Dopo l’ispezione visiva si passa ai sensori. Le crepe sono un ottimo punto in cui posizionarli. Uno dei compiti più complicati è proprio quello di collocare al posto giusto i macchinari che rilevano vibrazioni e inclinazioni. Strumenti più raffinati registrano le deformazioni e gli abbassamenti ogni volta che passa un tir. «Questi strumenti - racconta Napoli - nel 90 per cento dei casi permettono di ricevere segni premonitori di un crollo». I dati arrivano su un computer, che li elabora e dà l’allarme. Più difficile, racconta Mancini, è fare prevenzione se c’è una cosiddetta «rottura fragile», che può essere improvvisa.
Ma le foto che girano sui social dei ponti, con le armature di metallo in bella mostra, giustificano un allarme? «Se le armature arrugginiscono, il ferro aumenta di volume e fa scoppiare il rivestimento di calcestruzzo. È una situazione discretamente grave». Il che non significa che il ponte stia per crollare, «ma che richieda un intervento conservativo, questo sì».